lunedì 13 luglio 2009

TONY MANERO (TONY MANERO) DI PABLO LARRAIN - 2008

Fare film così belli con due denari equivale ad affermare di avere delle idee che sono già cinema, e le idee di Pablo Larrain non hanno bisogno del vestito buono in fase di produzione e marketing o del divo-cartina al tornasole per illuminare un film debole. Hanno esclusivamente bisogno di una cinepresa e di una distribuzione più generosa e coraggiosa nelle sale. Senza il Torino Film Festival e Nanni Moretti avremmo mai visto quest'opera?
Siamo nel 1978 in Cile. La polizia di Pinochet fa fuori gli oppositori del regime e la "Saturday Fever" di John Travolta e Bee Gees arriva nelle sale di tutto il mondo. Raul Perralta vive per essere il clone di Tony Manero, per raggiungere questo scopo non accetta ostacoli e li elimina in qualsiasi maniera; riguarda il film decine di volte e impara i dialoghi in inglese, si fa fare dalla sarta lo stesso identico vestito bianco di Travolta in maniera talmente precisa da riportare lo stesso numero di bottoni sotto la cintura. Deve essere la reincarnazione di Manero, perchè solo così può esistere. Nient'altro che la televisione e il cinema gli possono trasmettere la Vita. Il sogno dell'apparizione catodica, quello di far battere il proprio cuore nell'etere, diventa l'unico perseguibile anche in Cile. Il modello occidentale deraglia nei paesi poveri, la bonifica di qualsiasi altro sistema di successo e di realizzazione approda nella plebe devastata dalla repressione, dalla povertà materiale e culturale: dal concerto con le pentole vuote ("cacerolazo") alla disco dance. E la dolorosa metafora (Pinochet/Raul fu supportato da Nixon/Tony) fa più male soprattutto ad un occhio così allenato al doping di valori e contenuti come quello italiano. 
Raul è Tony Manero, Raul è Pinochet e Pinochet è "Lamerica". 
Pablo Larrain popola il film di combinazioni e cifre, sgradevoli tesori da scoprire: l'impotenza di Raul o l'inesplicabile fascino che egli emana nel suo piccolo mondo. Aggiunge il velo di una fotografia sbiadita, sdrucita come biancheria lavata e usata troppe volte, che in questa depressione la chiarezza è un miraggio, e segue incessantemente il protagonista in oggettiva, senza nessuna comunione con questo Manero del sottosuolo, senza concedergli la compassione di una soggettiva sul suo piccolo cosmo. Un personaggio-società tra i più delineati degli ultimi anni cinematografici, un uomo sintesi della decadenza, un cane rabbioso senza coscienza storica e sensitiva. 
Un Tony Manero senza l'ombra di redenzione anche nella sconfitta. 
Nel beffardo finale, quando il mondo per cui ha sacrificato identità e valori toppa la valutazione, Raul non lascia trapelare nessuna emozione che faccia presagire uno spiraglio di umanità. Serafico e vuoto  aspetta la prossima trasmissione, il prossimo provino, nella speranza di materializzare un giorno, se stesso e la sua vita.
Voto: 7,5

Luca Tanchis

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