sabato 16 gennaio 2016

John Berger, Contro i nuovi tiranni - tratto da Il taccuino di Bento


Contro i nuovi tiranni

Studiate i volti dei nuovi tiranni. Esito a chiamarli plutocrati, perché il termine è troppo storico e questi uomini sono parte di un fenomeno che non ha precedenti.
Vada per profittatori. Le loro facce da profittatori hanno molti tratti in comune. Tale conformità dipende in parte dalle circostanze — possiedono talenti analoghi e vivono secondo routine simili — e in parte è una scelta di stile.
Il mio diagramma si basa su uomini del nord. Ovviamente il ritratto di un profittatore del sud sarebbe diverso, eppure ho il sospetto che si rileverebbero le stesse tendenze.
Hanno età diverse, ma lo stile è quello di uomini che vanno per i cinquanta. Sono vestiti in modo impeccabile e il toro abbigliamento è rassicurante, come la sagoma dei furgoni portavalori. Armor Mobile Security, veicoli blindati.
Se si esaminano i loro lineamenti, si ha l’impressione che non abbiano appetiti fisici pronunciati, e tanto meno eccessivi... a parte un’insaziabile brama di controllo. Tutt’altro che mostruosi, i loro volti, benché un po’ tesi, paiono quasi insipidi.
Sulla fronte hanno numerose rughe orizzontali. Non si tratta di solchi scavati dal pensiero, ma di linee che trasmettono informazioni non stop.
Occhi piccoli, pronti, che esaminano tutto e non contemplano nulla. Orecchie capienti come banche dati, ma incapaci di ascoltare.
Labbra che tremano di rado, e bocche che prendono implacabilmente decisioni.
Mani gesticolanti, che dimostrano formule e non toccano l’esperienza.
Capigliature meticolosamente ravviate come per un test di velocità aeronautica.
L’assoluta fiducia in se stessi che traspare dai loro volti è pari alla loro ignoranza, che è anch’essa evidente.
Tu hai spiegato che le forme del conoscere sono tre. Una forma confusa basata su dicerie e impressioni e mai riferita a una visione d’insieme. Una conoscenza, che si serve di idee adeguate, riguardante la proprietà delle cose. E, in terzo luogo, una conoscenza che concerne la sostanza delle cose riassunta in Dio.
I profittatori non sanno niente di niente, né delle proprietà né dell’essenza delle cose. Conoscono bene solo le loro impressioni sui loro racket. Da qui la paranoia e, generata dalla paranoia, la loro energia ripetitiva. Il loro reiterato articolo di fede è: Non c’è alternativa.


(tratto da Il taccuino di Bento, Neri Pozza, 2014)

Forse non tutti sanno che il filosofo Baruch Spinoza – detto Bento –, uno degli esponenti del razionalismo del XVII, antesignano dell’Illuminismo e sommo conoscitore dell’esegesi biblica, disegnava. Anzi, era intimamente ossessionato dal disegno. Dopo la scomunica e la cacciata dalla comunità ebraica di Amsterdam, si dedicò al disegno con un trasporto così assoluto che, quando non lavorava come tornitore di lenti, si rinchiudeva nel suo studio ad abbozzare figure o paesaggi, a tracciare centinaia di schizzi a matita e a china. Quando morì, i suoi amici recuperarono le sue lettere, i manoscritti, gli appunti, ma non trovarono nessuna traccia dei suoi disegni. Molti anni dopo, a John Berger viene regalato un vecchio taccuino da disegno e l’autore, mosso da un impulso segreto e convincente, sente che quel libricino è proprio quello di Baruch Spinoza. Inizia così un dialogo a due voci e a quattro mani in cui l’autore e saggista inglese – convinto che nella silenziosa pratica del disegno risieda la chiave per accedere al senso del mondo e delle cose – immagina di rileggere le parole del filosofo olandese, e di osservare il mondo con i suoi occhi. Il risultato è un libro che, con una prosa limpida e delicata, crea un ponte tra l’Olanda del XVII secolo e il tempo inquieto in cui viviamo. Una mappa stupefacente che aiuta a orientarsi nel nostro incerto presente, a indagare la sostanza profonda delle cose, e la relazione che ci lega a esse. (tratto dalla presentazione editoriale del libro)