lunedì 2 marzo 2015

Allan Gurganus, Non abbiate paura


"Quante strade per la gioia; per lo più, deviazioni." 
In questa frase sta tutta la luce sfolgorante della scrittura di Allan Gurganus, scrittore americano poco noto al pubblico italiano.
Nato in North Carolina nel 1947, dopo essere stato soldato in Vietnam, fu compagno di college di Grace Paley, e allievo prediletto di John Cheever all'Iowa Writers' Workshop.
Nel 1989 pubblica il suo primo romanzo, “Oldest living confederate widow tells all” (“L'ultima vedova sudista vuota il sacco”, nella traduzione italiana), versione dissacrante e iconoclasta della Guerra civile americana. Il romanzo viene tradotto in dodici lingue, e vende due milioni di copie.
Dopo alcune raccolte di racconti, esce nel 2013 “The local souls”, trittico di racconti, segnalato dal New York Times fra i migliori libri dell'anno.
Ora, su suggerimento dello stesso Gurganus, è arrivata in Italia la traduzione di uno dei tre racconti, "Non abbiate paura", occasione per avvicinarsi a questo scrittore, figlio della tradizione affabulatoria della letteratura del sud degli Stati Uniti.
La novella è divisa sostanzialmente in due parti: nella prima vediamo Gurganus stesso il quale, reduce dalla fatica della stesura del romanzo sulla guerra civile americana, per distrarsi si reca con un'amica a teatro per la recita scolastica del figlioccio, in una fredda sera di novembre.
Nell'attesa dello spettacolo, lo scrittore si guarda in giro, constatando la banalità dei cittadini della middle class del North Carolina lì convenuti, quando la sua attenzione viene attirata da una coppia di innamorati di eccezionale bellezza, alti, biondi, e magneticamente attratti l'uno dall'altra:“Sono così belli che potresti trovarli nelle pubblicità, o anche al cinema. Un'energia erotica inconfondibile. Scoppiettano come popcorn nel microonde”.
  

L'amica dello scrittore gli passa un bigliettino “Attento a quei due. Fatti un'idea. La storia dopo. E' buona.” Dopodichè, nella seconda parte, comincia la narrazione della storia vera e propria preceduta dalla premessa “Giuro su Dio che almeno l'81% della storia è vera”.
E la storia è il susseguirsi di eventi tragici e straordinari che si snodano nell'arco di venticinque anni. Alla protagonista, Maria, giovane ragazza dorata della buona società, soprannominata dai compagni di scuola “Non abbiate paura”, era successo di assistere, quattordicenne, alla morte del padre, investito e orrendamente decapitato dal motoscafo guidato dal suo migliore amico, mentre faceva sci nautico sulle acque di un lago. La giovane orfana, “adottata” dall'amico del padre, macerato dai sensi di colpa, rimane incinta di un di lui figlio in circostanze poco chiare.
Il bambino le viene tolto, e lei metabolizzata apparentemente la tragedia cresce, si sposa, e rientra nei binari dell'esistenza normale e banale di una quieta casalinga della middle class, covando la disperazione “dietro la lustra vernice crema dell'agiatezza”; fino a quando, grazie a una svolta fortunata del destino, riesce a trovare di nuovo (forse) la felicità.
Si rimane incantati di fronte allo stile molto originale di Gurganus, che prende in ostaggio il lettore, rapito dalla prosa e dallo svolgimento del racconto come di fronte al flauto di un ammaliatore di serpenti.
La lingua emana una luce sfolgorante; ed è la luce del mito.
Come dice Gurganus, “le stesse storie travolgenti delle tragedie greche si consumano in qualche traversa delle nostre cittadine dove si pagano le tasse.
In poco più di 120 pagine, Gurganus costeggia i grandi tabù di una società perbenista: omosessualità, legame sentimentale di un adulto con una ragazzina, incesto, senza che nessuno di questi temi venga esplicitamente chiamato per nome, ma piuttosto evocato tramite allusioni e immagini che emanano la luce di un Icaro che si avvicina troppo al sole.
Non c'è psicologismo nella narrazione di Gurganus: i personaggi sono assoggettati alle forze ancestrali di Eros e Thanatos.
E, sembra dirci Gurganus, in questo modo di vivere che accetta ciò che di estremo e straordinario e anche terribile può accadere, c'è spazio prima o poi anche per la felicità.

Laura Anfossi

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Sto quasi per chiederle perché gli adulti hanno sempre un’aria sciatta alle recite degli adolescenti, quando l’arrivo di una coppia strepitosa mi smentisce immediatamente. Salve! La mia esausta capacità narrativa avverte un fremito, se non proprio uno stimolo. 
Con un sorriso, chiedono se le poltrone accanto a noi sono libere. «Prego, tutte vostre.» Sono entrambi biondi, alti e atletici, con le sopracciglia scure; stesse giacche di montone, da sci. Il vento ha arrossato la carnagione di lui, acceso di rosa quella di lei. La bufera sembra studiata per esaltare il loro incarnato. Giuro che dovrebbero stare sul palco, non qui tra i nonni con gli zaini di Greenpeace e i sandali da cui sbucano orrendi calzettoni peruviani. 
Sono i giovani genitori “capobranco” che tutti i liceali desiderano, invece di, be’..., invece di noi: io e la mia deliziosa amica, che siamo seri, informati, sui cinquanta e più. 
Jemma fa un cenno ai nuovi arrivati, rivolge loro un vero sorriso ma poi, solo per i miei occhi, scribacchia un messaggio sul blocco. Indicandoli con la testa, nasconde loro le parole: 
ATTENTO A QUEI DUE. FATTI UN’IDEA. LA STORIA DOPO. È BUONA.

(tratto da Non abbiate paura, Allan GurganusPlayground 2014 - Trad. Maria Baiocchi e Anna Tagliavini)

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