giovedì 6 agosto 2009

TWO LOVERS (Two Lovers) di JAMES GRAY - 2008




È tragicamente difficile uscire da alcuni film.
James Gray è l'eleganza fatta pudore e te ne accorgi quasi subito, nel momento in cui il suo magnifico sguardo indugia impressionista sulle cose semplici della vita, appena la cinepresa stringe sulle pietanze del pranzo di famiglia all'inizio del film. 
Sull'anima, quando, dopo il pranzo, Leonard (un Joaquin Phoenix lacerato, svagato, inadeguato: bravissimo) spiega a Sandra (Vinessa Shaw, perfetta nella parte della bella addormentante) perchè le sue foto in bianco e nero non comprendano che cose inanimate. 
E, più avanti, sui sentimenti, mentre Leonard scrive invisibilmente I LOVE YOU con la punta del suo dito sul braccio di Michelle (Gwyneth Paltrow sensuale, viziosa, decadente e irraggiungibile). 


D'altronde quello di Gray è lo stesso pudore del silenzio di un acquario. I movimenti di macchina e degli attori sono rarefatti e privi di gravità, come esseri marini in cattività sotto l'occhio di una luce al neon indifferente che illumina e mostra. 


Tutto sembra svolgersi in apnea, il film inizia con Leonard che esce dall'acqua dopo un disgraziato tentativo di suicidio, e finisce con Phoenix che cerca di ricomporre i cocci della sua vita raccogliendo un anello sulla riva della baia di Brooklyn. Nel mezzo gli incontri furtivi sulla terrazza, come in un grande aquarium avvolto nella luce plumbea di un inverno newyorkese, dove la pelle di Michelle e Leonard non aderisce mai completamente: i baci di Michelle sono in contumacia, quelli di Leonard già rassegnati. 
Un luogo spirituale sull'impossibilità di questo amore e magica visione partorita nel regista statunitense sia dalla lettura de "Le Notti Bianche" di Dostojevskij, che dall'omaggio all'omonimo film di Visconti.


Gray indaga sulla polarità dell'amore rimanendo ancorato al quotidiano, al trambusto di esperienze minime. Come nei film precedenti, pur scrutando altre tematiche (la famiglia, il denaro, il successo, le tradizioni), ma sempre occultando tutta la prosopopea hollywoodiana e suggerendo un senso più intimo e vero di fare cinema.


Un cinema complessivo ("Little Odessa", "The Yard", "I Padroni Della Notte") come un concept album musicale, dove il film successivo delinea e focalizza aspetti del precedente mostrandoti la grana sempre più fina di un talento così grande. "Il piacere è silenzioso, proprio come lo è lo stato di felicità", come dice Michel Houellebecq in "La possibilità di un'isola".
Lasciatemi qui ancora un istante.


Voto: 9
Luca Tanchis

lunedì 3 agosto 2009

IL SEME DELLA DISCORDIA DI PAPPI CORSICATO - 2008

Questo film piacevolmente conferma che Pappi Corsicato è uno dei pochissimi registi italiani capace di creare un suo universo cinematografico. Come nei film precedenti (soprattutto “Chimera”) la sua Shangri-La è una terra fatta di colori vivi, arredamenti e corredi pop e lounge, geometrie ordinate, riferimenti letterari, inquadrature quasi espressioniste, lampi di nonsense, coreografie musicali e colonna sonora (Morricone, Piccioni, Trovajoli) da applausi. Qui aggiunge una città ipermoderna e indefinibile, un altrove immaginario (nella realtà il Centro Direzionale di Napoli, progettato dall’architetto giapponese Kenzo Tange) e una trama molto più accessibile rispetto a quel capolavoro che fu “Chimera”. Le strade e le case di marzapane di questo mondo surreale e onirico fanno risaltare per contrasto la fisicità degli attori (una Caterina Murino di una bellezza straordinaria), la carnalità degli sguardi (si veda la scena dei fondali trasparenti sulla spiaggia che riassume tutto un rapporto in tre inquadrature) e coinvolgono senza spigolature il gioco delle ironiche citazioni. Nei titoli di testa si richiama il Truffaut de “L’uomo che amava le donne”, si intravede il De Palma di “Omicidio a luci rosse” in alcune ambientazioni, e, quando Veronica si vendica con tuta da ginnastica e pala al posto della katana, si pensa al Tarantino di Kill Bill,  nella chiusura al centro commerciale è impossibile non notare lo stesso finale di “Eyes wide shut”. Il cinema di Corsicato è sempre una meravigliosa sorpresa panoramica, vive benissimo senza quei grandi argomenti che nel cinema italiano sono sovente un nascondiglio per giustificare film dozzinali e privi di cinema, realizzati da registi terrazzieri (Ozpetek, la Comencini, l’ultimo Benigni). Eppure il personaggio di Martina Stella è un intelligente sommario su tutta quella gioventù che gravita attorno alla televisione, e quello di Alessandro Gassman tratteggia con sarcasmo (è un venditore di fertilizzanti, ma è sterile) lo smarrimento del maschio italico. Il regista napoletano ammaestra con grande stile ed eleganza un microcosmo posticcio che sembra più genuino di quello reale, come i fondali dipinti per la scenografia di “Irma la dolce” erano più Parigi di Parigi, e con Veronica, dopo “Libera”,  “I Buchi Neri” e “Chimera”, ci regala un altro grande ritratto femminile.

Voto: 7,5

Luca Tanchis

domenica 2 agosto 2009

Deep Water - La folle regata (Deep Water) di Louise Osmond e Jerry Rothwell - 2006


Nel 1968 il Sunday Times inglese bandisce un concorso che premia chi riuscirà a realizzare per la prima volta l'impresa di circumnavigare il mondo in solitario e, a differenza di Sir Chichester che nel 1967 fu il primo uomo a compierlo ma con uno sbarco in Australia, senza effettuare nessuno scalo. La competizione velica si chiama Golden Globe Race.


Questo straordinario documentario rilegge quell'epica sfida mettendo in primo piano la tragica storia di Donald Crowhurst, l'unico outsider del piccolo manipolo di esperti navigatori che presero parte alla gara. Crowhurst era il proprietario di una piccola fabbrica di componenti elettronici per la nautica e partecipò alla competizione, con un trimarano di sua ideazione, sia per dimostrare il suo reale valore come uomo sia per risolvere i problemi economici che lo assillavano. Il film è meraviglioso perchè alterna con sapiente misura le interviste ai parenti dei navigatori (in special modo alla moglie e a uno dei quattro figli di Crowhurst) con le vere immagini di repertorio riprese dagli stessi partecipanti. E così, grazie a questo preziosissimo materiale, non c'è nessun filtro drammaturgico tra l'uomo e la sua solitudine nell'immenso oceano, tra Crowhurst e un'impresa più grande di lui. Un documentario toccante, emozionante nella sua narrazione. L'oceano diventa prima un avversario, poi un Dio intransigente, infine un testimone muto e compassionevole. I registi Louise Osmond e Jerry Rothwell con stile e pudore non partecipano emotivamente, non moralizzano sugli errori del navigatore inglese, ma riflettono sulla fragilità di un uomo solo davanti ad un'impresa titanica e che, nella sconfitta, si imbatte  contro il suo avversario più temibile: se stesso. Come diceva Conrad: "il mare è uno specchio".
In quell'oceano oscuro in tempesta, in quel blu arcano e assoluto, ci ritroviamo insieme a Donald davanti all'infinito dell'orizzonte, davanti a mille quesiti senza risposta. Ed è impossibile riportare a casa il cuore asciutto e intatto.

I diari di Crowhurst
Voto: 8
Luca Tanchis