lunedì 16 maggio 2016

PRINCE: Sign “☮” The Times, di Alberto Castelli


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PRINCE
«Sign “☮” The Times»
Paisley Park, 1987 

Il muso di un’automobile, una chitarra sul pavimento, una batteria, fiori appassiti, insegne lampeggianti di locali notturni, un volto sfocato in un angolo, in primo piano: la confusione di queste immagini è un segno dei tempi. Prince e la sua musica sono un segno dei tempi. 
Quel volto appartiene al simbolo sessuale più forte della musica nera da James Brown e Marvin Gaye in poi, ad una star e, non dimentichiamolo, ad un innovatore. Come tutti i protagonisti dei cambiamenti, come tutti coloro che interpretano il feeling dei tempi e finiscono per trovarsi un metro più avanti degli altri, Prince ha fatto sua fino in fondo una storia, una tradizione musicale, per poi costruire qualcosa di radicalmente nuovo e sorprendentemente inedito. 
Come Charlie Parker, che imparò a memoria ogni respiro degli assoli di Lester Young, dimenticò volutamente la lezione e cominciò a soffiare il suo blues. 
Come i Beatles e il rock’n’roll, Bob Dylan e Woody Guthrie. 
Come i veri artisti è continuamente in movimento. È un viaggiatore che, dopo essersi spinto in ogni direzione, ha trovato il suo posto in un luogo impreciso e lontano. Le sue antenne sono sempre pronte a recepire segnali, suggestioni ed ispirazioni per rimodellarle e trasformarle con sensibilità.
E quanta fantasia! In “The Ballad Of Dorothy Parker”, uno dei momenti più strani ed intensi di tutto l’album, immagina un’avventura con una cameriera in un bar (sarà uno scherzo o si tratta veramente della scrittrice?) i due accendono la radio, Joni Mitchell canta “Help Me”, la canzone preferita da lei, squilla il telefono a spezzare la tensione e la magia di quell’incontro, la prossima volta lui agirà più in fretta. 
La prossima volta è appena girato il disco, “lt’: “Ci penso continuamente, baby. È tanto bello che deve essere un delitto. A letto, sulle scale, da qualsiasi parte va bene”. Una drum-machine ossessiva e martellante, una chitarra convulsa, lo stesso dei blues di Muddy Waters, delle pagine più appassionate di James Baldwin, se ne percepisce quasi l’odore — quello che James Brown chiamava “funky smell”.
Ed è un altro segno dei tempi, talmente presente in Sign Of The Times che il titolo potrebbe diventare Beat Of The Times: da “Housequake” a “Hot Thing”, da “U Got The Look” a “lt’s Gonna Be A Beautiful Night” (un coro gioioso che unisce Prince & The Revolution e seimila “wonderful parisian”).
Gli altri episodi, più intimi e rilassati, svelano, se mai ce ne fosse bisogno, il talento compositivo dell’ “uomo” e l’ingenuità quasi infantile di un musicista che si diverte ancora a giocare con le note, ad accostarle una all’altra quasi per caso, come se i colori si incontrassero da soli sulla tela. 
Ancora una volta Prince si nasconde dietro un personaggio indefinibile (vi ricordate Christopher, l’autore di “Manic Monday”?); ora è la volta di Camille in “lf I Was Your Girlfriend”: “Se io fossi la tua ragazza, ti ricorderesti di dirmi tutte le cose che hai dimenticato di dirmi quando io ero il tuo uomo?”.
Queste sedici canzoni sono affascinanti e misteriose. E la cosa più bella è tentare di scoprirne il segreto.

Alberto Castelli 9/10





(tratta da Rockstar, Maggio 1987, N.80)



Il piccolo grande uomo PRINCE: L’unica intervista




Prince continua a cantarci le più belle favole del pop moderno, ma si ostina a tacere la sua verità. Nessuno era riuscito a farlo parlare, a tirargli fuori di bocca quell’ossessione di vita che lo tormenta e lo ha reso inarrivabile. Qualcuno — naturalmente una donna — ha infine conquistato la sua fiducia.



Un tempo lontano, quando ero molto piccola, mia madre aveva l’abitudine di leggermi sempre delle favole prima che mi addormentassi. 
A tutte preferivo la tenera storia del brutto anatroccolo di Andersen. Le uova che covava mamma anatroccola si erano da poco dischiuse, i piccoli vennero fuori tutti bellissimi salvo uno che era veramente brutto. Il mondo, purtroppo era molto cattivo ed esso, crescendo, veniva schernito da tutti. Così il brutto anatroccolo, con il cuore che gli batteva forte forte, correva a cercare protezione sotto l’ala della mamma…
Vivere nell’entourage di Prince durante il suo soggiorno, ritrovarsi quasi sempre a pochi passi da lui, usare lo stesso catering per mangiare, riuscire a fraternizzare con le poche persone che gli sono accanto da tempo, vincere la sua ritrosia a parlare con gli estranei diventandogli pian piano familiare, mi ha riportato alla mente quel momento della mia infanzia e quella favola malinconica che sembra calzargli a pennello.
Il lago dove il brutto anatroccolo si trasforma in regale cigno è il palcoscenico. L’ala sotto la quale andarsi a nascondere sin da bambino è spesso stata la musica, raramente la madre.

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Dice Prince: «Ero diverso dagli altri ragazzini, piuttosto gracile e sgraziato, ma più intelligente e molto più sensibile. Il pianeta dei bambini è un mondo a parte, molto più crudele di quanto agli adulti è dato di pensare. A volte tornavo a casa, affannato e piangente, salivo le scale di corsa per correre da lei... ma non sempre la trovavo sola. Ho un ricordo netto di quella stanza dalle pareti rese grigie dalla sporcizia raccolta dal tempo.., Il letto era sempre un po’ sfatto, la finestra dava su un cortile sporco e maleodorante: tutto sottolineava l’incuria e le ristrettezze finanziarie. Una volta, distesa su quel letto sul quale poche ore prima aveva trovato riposo un uomo che non era mio padre — che a quel tempo già ci aveva abbandonati sconvolto dall’insuccesso nel suo lavoro e dall’alcool sempre più padrone della sua vita — avevo visto mia madre che sembrava riposasse. Spiavo il suo sonno e ad un tratto vidi tra le sue gambe cadere un rivolo sottile di sangue che macchiava di rosso le lenzuola... Il mio primo istinto fu di toccarla temendo si sentisse male, poi scattò qualcosa nella mia fantasia di bambino che mi fece collegare quel sangue a quell’uomo... Mi sentii perduto, colpito a morte... Fu in quel momento che per me il senso dell’esistenza sembrò spaccarsi in due. Percepivo per la prima volta la parola sesso in un modo diverso: sul letto di mia madre non c’era mai stato del sangue finché aveva riposato con mio padre. Nella mia mente mi sembrò di prendere coscienza della parola ‘peccato”. Fu in quell’occasione che sentii in me per la prima volta il morso della gelosia. Mia madre era felice che io fossi maschio, ne era così orgogliosa che più volte mia sorella — schernendomi — mi ha raccontato che piccolissimo, mi lavava con estrema cura. Il fatto di avere quell’attributo in più rispetto a lei, l’ha sempre un po’ infastidita mentre per me ha provocato sempre il terrore di non essere all’altezza, e a volte questa paura affiora ancora oggi».

Cosa vuoi dire esattamente?


«Non chiedermi se vuoi dire che a volte non mi sento maschio, ognuno è ciò che veramente sente di essere e non ha bisogno di raccontarlo agli altri. Mia sorella ha sempre desiderato essere un uomo e così mi sono chiesto tante volte che divertente se riuscissero con un intervento ad attaccarle il pene. Aveva delle bambole, sempre di seconda mano ma a lei non sembrava importare molto: non la divertivano. lo, invece, passavo le ore ad agghindarle, a pettinarle i capelli, ad inventare dei vestiti, poi, appena pronte le conducevo ad un ballo immaginario dove le facevo danzare: ero il loro burattinaio».

Una passione che in definitiva ti è rimasta... Hai creato personaggi come Vanity, Apollonia, la stessa Sheila E. Sembrano avere tutte la stessa matrice: colore della pelle, modo di vestire e si somigliano persino nei tratti, come mai?


«Non è voluto, è piuttosto che la mia attenzione viene presa da quel tipo di donna. C’è a chi piacciono le bionde, io preferisco riconoscermi un po’ in loro. La differenza del colore delle razze è una cosa che ho capito sin dai primi anni di vita e per noi mezzosangue è proprio un discorso a parte: i negri non ci considerano loro simili ma neanche i bianchi ed è frequente che ambedue si diano da fare per farci sentire uno scherzo della natura. Qualche volta hanno fatto nascere in me il desiderio di morire. È buffo, incredibile: neanche questo è facile, anzi a volte è più difficile che lasciarsi vivere. La forza che ci fa morire è in noi, ma occorre un’arte ben consumata per provocarla. La mia rivolta alla voglia di morte l’ho sempre trovata nella musica, è stata sempre la mia arma di difesa, di preghiera, il riscatto dalla sofferenza. Però non ho ancora saputo trovare una mia normalità e sto ancora rincorrendo un po' di felicità. Vivo in un mondo mio sommerso di musica, che mi regala uno stato d’incoscienza continua, come se fossi sospeso sui filo di fumo del più poderoso dei joint, e mi dà la possibilità di attraversare le cose e guardare avanti solo alla ricerca della verità».


Ma cos’è questa verità che cerchi, questa scala che tenti di salire?


«Mi sono sentito tante volte vicino a Dio ed ho pensato di essere giunto alla meta. Poi, però, ci sono state delle circostanze che me ne hanno allontanato. È come se Lui volesse mettermi alla prova continuamente prima di accettare che io sieda ai suoi piedi. A volte L’ho sentito molto duro nei miei confronti, non mi ha risparmiato neanche una delle prove brucianti per le quali sono passate... Sono stato così spesso vicino all’inferno ma ho dovuto trovare sempre la forza di venirne fuori da solo».

Non mi sembra un’affermazione giusta detta da uno che è considerato il genio musicale dei nostri giorni e che guadagna cifre da capogiro...


«Ciò che mi succede è meraviglioso ma non è questa la mia beatitudine, io lo reputo il passaggio attraverso un inferno dalle sembianze piacevolmente ingannevoli ma poi giunge sempre il momento della verità... Quello che agli altri non è dato di vedere è tutta la merda attraverso la quale sono passato in tutti questi anni, e malgrado questo cerco ancora di arrivare a Lui, di arrivare alla verità. Quel giorno sarò in grado di dare agli altri molto più che la mia musica».

Ma oltre ad offrire un motivo d’evasione tu sei già molto di più per i giovani...


«Vuoi dire per i ragazzi di colore? Per un ragazzo che si afferma ce ne sono migliaia e migliaia con un futuro mediocre o addirittura tragico. Ma quel ragazzo che emerge per tutti gli altri è una speranza...».


Sei sempre circondato dagli specchi. Non è un fatto casuale perché so che è una tua precisa richiesta, eppure si dice che sia un’arma del demonio...


«Ho sempre avuto un debole per gli specchi e in particolare quelli a grandezza d’uomo. Per me è come se aldilà dell’immagine riflessa si aprisse tutto un mondo incantato. È come se ci fosse una porta tra due realtà: una visibile a tutti ed una seconda che si mostra solo ai miei occhi. A volte vi trascorro davanti dei periodi abbastanza lunghi, raramente per civetteria: sono sempre alla ricerca di me stesso, così mi può capitare di ritrovarmi in quell’immagine e di voler sfuggirvi per paura della realtà. È anche accaduto che assumesse le sembianze di un maestro con il non facile compito di insegnarmi ad accettare le mie paure, i miei difetti. Qualche volta mi sono specchiato e non mi sono riconosciuto o piaciuto. In quei momenti mi sono sentito il burattinaio di me stesso...».

Sul palco, nella scenografia che riporta uno spaccato di Broadway, ci sono due scritte ben distinte: “Sex” e “Love”... Dunque c’è differenza anche per uno come te, etichettato come il cantore del sesso sfrenato...


«Il sesso è un pacchetto di patatine da consumare in fretta, come fosse nel buio di un cinema. È un’esaltazione dei sensi come parte più scoperta e animale, quasi uno scontro violento tra maschio e femmina. L’amore va vissuto sulle ali degli angeli ma lo smog della città, la cortina di perfidia e di lussuria lo rendono introvabile... Mi è anche capitato di credermi a cavallo su quelle ali impalpabili ma ho dovuto ricredermi subito per non fare la fine di Icaro. L’amore è una cosa che cerco quasi quanto la strada della verità, ma ambedue racchiudono un’incognita che mi fa paura. Il sesso ha invece per me pochissimi lati sconosciuti... Passata la pubertà, quando cominciavo a sentire i primi morsi del desiderio, avevo alle spalle già la visione di tante avventure da postribolo, sono cresciuto praticamente per strada: un inferno sul quale, ancora bambino, volavo con ali insicure. Non ci sono state scoperte graduali, la mia verginità mi fu tolta molto presto ed accadde in modo così crudo che ancora oggi quando mi capita di pensarci mi vengono i brividi. La musica per me è stata come bagnarsi nell’acqua benedetta del battesimo, mi ha innalzato a cime raggiungibili solo da pochi eletti e mi ha posto su quell’altare dove l’immortalità la possono avere anche angeli dal colore scuro... La musica mi ha dato la possibilità di mutare il senso del racconto che la vita sembrava aver preparato per me. Mi ha dato la capacità di donare dei sogni ed io voglio essere quello più violento e più sconcertante per ogni sguardo: sia esso uomo o donna. Voglio che nella profondità del mio sguardo, nella sessualità del movimento del mio corpo tutti possano ritrovare, passo passo, il lento miracolo delle notti insonni. Dentro di me ancora non si è placato il desiderio di lasciare un segno indelebile come un marchio a fuoco, è ancora troppo vivo il ricordo di quando da bambino, mi sentivo un inutile e insignificante fardello, un pacco postale spedito da madre a padre, da zii a nonni ed amici, senza mittente perché non dovesse esserci un ritorno. Anche se con il tempo ho perdonato, però non ho cancellato l’idea di essere stato messo al mondo per ritrovarmi ai margini di una famiglia inesistente».

Ma è proprio questo tuo passato che dovrebbe spingerti a cercare un rapporto più profondo con gli altri! Invece sembri una persona molto sola ma anche senza molta voglia di comunicare con il tuo prossimo... Durante il tuo soggiorno italiano ti sono stati messi a disposizione alloggi principeschi in mezzo alla natura, eppure hai trascorso il tempo quasi sempre tra quattro pareti, come mai?


«Ogni essere umano ha una sua reazione alle cose; io ho paura di chi mi circonda e soprattutto dell’incognito. Durante una tournée, in particolare, non si ha molto tempo di familiarizzare né con luoghi e né con le cose e questo accresce il mio senso di solitudine, per questo ho l’abitudine di portare con me molte cose che mi sono care per non sentirmi completamente sradicato. Tra le tante, anche un televisore a 26 pollici ed uno schermo gigante su cui vedere i miei film ed i miei video preferiti».

Ho dato un’occhiata alle tue video cassette e ne ho scoperte due di concerti...


«Sì, le registrazioni dei concerti di Bruce Springsteen e Madonna, la più sensuale ed eccitante rockstar degli ultimi anni: mi piace tutto di lei. Ma c’è anche un’altra rappresentante del gentil sesso che mi piace anche se per motivi diversi e dovresti già essertene resa conto visto che mi stai sempre attorno».

Stai alludendo a Rossana Casale vero? Non fai che ascoltare “Destino”, una delle canzoni tratte dal suo album. In effetti è una cosa che mi ha molto incuriosita anche perché l’ascoltavi già al tuo arrivo...


«Ho sentito la registrazione del brano su una cassetta di un mio amico americano che viene frequentemente in Italia, me ne sono subito appropriato ed una volta giunto qui mi è servita per rintracciare l’album. Ero curioso di dare anche un volto ed un nome a quella voce. Mi piacerebbe produrla in America, ho saputo che parla bene l’inglese. Staremo a vedere».

Come fai a tenerti in forma?


«Per contratto sia in camerino che nel mio alloggio devono attrezzarmi una minuscola palestra. Non è un capriccio ma è il modo migliore per conservare la forma ed il fiato per affrontare il mio show...».

Ne hanno fatta di strada con te i Revolution. Come mai non sono più con te?


«Semplicemente non c’era più strada da percorrere insieme, si rompono i matrimoni, i rapporti tra padre e figlio, figuriamoci quelli di lavoro...».

Così pacato, così giudizioso... Eppure in tempi non lontani hai fatto di tutto perché ti calzasse a pennello il soprannome di “angelo perverso del rock” e tutt’ora, quando sei in scena non sembri certo un asceta. Ma tu, chi sei veramente?


«Non sono il diavolo, non sono un angelo, non sono una donna, non sono un uomo: sono una cosa che non capirai mai... » canticchia facendo il verso ad una sua canzone. Dopo avermi lanciato uno sguardo divertito, mi volta le spalle e se ne va ancheggiando!



di Vivì Zizzo B.
Tratta da Rockstar, ottobre 1987, N.85