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martedì 9 febbraio 2010

Intervista a François Ozon, Magazine "Paris à Nous", 2010


Passando dalla commedia satirica al thriller o dal giallo musicale in costume al fantastico, François Ozon dà il meglio di sé nel drammatico e lo conferma ancora una volta con "Le Refuge". Filmando Isabelle Carré per davvero in stato interessante nel ruolo di una ex "fattona" afflitta e sconsolata, Ozon osa e approccia la gravidanza con l’originalità ed il talento che lo caratterizzano.

Da dove ha preso l’idea per questo film?

Dal fatto che avevo voglia da moltissimo tempo di parlare di gravidanza e di filmare il corpo di una donna incinta, corpo che trovo molto bello, erotico e sensuale. Avevo poi voglia da altrettanto molto tempo di lavorare con Isabelle Carré, sicché quando ho saputo che era incinta mi sono proposto di scrivere qualcosa a proposito della sua maternità, qualcosa che non avesse niente a che vedere con quello che lei stava vivendo, tutto ciò filmando il suo corpo.

Era già stato fatto qualcosa di simile?

Alcune attrici hanno girato incinte ma di due o tre mesi e spesso la loro condizione veniva nascosta. Qui avevo davvero voglia di mostrare la realtà di una gravidanza.


Isabelle Carré ha accettato il ruolo facilmente?


Credo che la mia fortuna sia stata che questo per lei è il primo figlio e quindi non sapeva di cosa poteva trattarsi.. credo che se avesse saputo non avrebbe mai accettato, perché è davvero molto faticoso girare al settimo mese. Tra l’altro molti ciak devono essere ripetuti ed anche girare una scena semplice come alzarsi da una sedia una volta va bene ma se lo fate otto volte di fila vi stancate rapidamente. Abbiamo cercato di fare il possibile affinché tutto fosse comodo per lei. Ci siamo adattati al suo stato.


Isabelle dice che aveva paura di ciò che avrebbe pensato di lei suo figlio nel vedere il film.. 


Sì, aveva paura che si sentisse usato, ma non me ne ha parlato esplicitamente. Ad un certo punto delle riprese abbiamo incontrato Isabelle Huppert a Saint-Jean-de-Luz e lei le ha detto: "Che fortuna che hai! Ho sempre sognato di girare incinta, è fantastico!". Questo le ha un po’ addolcito i sensi di colpa..


E lei? E’ tentato dalla paternità? 

Diciamo che fare dei film è già abbastanza pesante, quindi avere dei figli non è una cosa che per il momento mi ecciti veramente.


Aveva degli scrupoli a far morire Melvil Poupaud dopo appena dieci minuti di film dopo averlo già "ucciso" in "Le temps qui reste"?


Non l’ho ucciso! L’ho fatto morire, non è la stessa cosa! (ride). E’ lui che mi ha detto: "In tutti i tuoi film mi fai crepare, quando resterò in vita?". Ma purtroppo avevo bisogno di un attore conosciuto affinché il personaggio "infestasse" il resto del film.


La mancanza è uno dei temi forti e ricorrenti della sua filmografia, come in "Sous le sable" o "Le temps qui reste". Come lo spiega?

Non lo spiego obbligatoriamente, lo sento. Penso che sia sempre interessante mostrare l’assenza e come dei personaggi ci convivono. Come cerchino e trovino degli espedienti per continuare a vivere. Il personaggio di Charlotte Rampling in "Sous le sable" vede un fantasma; qui quello di Mousse, interpretato da Isabelle, sceglie di portare a termine la sua gravidanza per mantenere in vita quello di Melvil.


Pensa mai al "César"? (Oscar del cinema francese, NDT)

Ah, per niente! Perché ci dovrei pensare? Francamente, penso a tutto fuorché a questo. (ride).

E’ cosciente di essere un regista culto?

Beh no, non ho quest’ impressione. Soprattutto perché le persone di culto sono spesso e volentieri morte. Ed io mi sento vivissimo!


In ogni caso lei è la punta di diamante del nuovo cinema francese..


Non so. Io lavoro. Penso soprattutto che se potessi non fare tutta la promozione che accompagna ogni film, non la farei..


Perché? Non è felice qui con me?


(ride) Sì, sì, sono molto felice di bere una Cola Light da Fouquet’s (il ristorante più esclusivo degli Champs Elysées, NDT). Ma siccome viviamo in una società dove tutto è mediatizzato, i film non bastano più a sé stessi. Ciò richiede un lavoro di "servizio post vendita" che all’inizio non avevo immaginato.


Cosa le dicono quando la riconoscono per la strada?


Non mi riconoscono spesso. Ciò che amo nel fatto di essere un regista è di essere dietro la telecamera, di tirare i fili. Inoltre preferisco restare defilato e conservare una certa riservatezza sulla mia vita privata. Credo che i miei film raccontino già abbastanza cose di me per avere bisogno di aggiungerne altre lanciandomi in confessioni o chissà cos’altro.


Ha dei rimpianti nella sua carriera?


No, nessuno. Perché anche le sconfitte e gli errori fanno parte della storia e ci permettono di capire e progredire. Non ci sono veri rimpianti, il passato è passato.


E’ attirato dalle sirene di Hollywood?


Hanno già cantato, soprattutto dopo l’uscita di "Swimming pool" che è stato un vero successo negli Stati Uniti. Avevo parlato a dei produttori di laggiù di "Angel" e mi avevano risposto: "Ok ma solo con una star e un happy end!". Ho girato con una sconosciuta e non c’è ombra di happy end. Ecco, non ho ceduto alle sirene di Hollywood. Del resto Truffaut diceva: "Gli americani ti rispettano finché resti a casa tua, dal momento in cui metti piede in casa loro ti calpestano." Preferisco quindi restare qui a fare dei piccoli film, in totale libertà, continuando a ricevere proposte dagli Stati Uniti, da gente che mi dice: "Sogniamo che venga a lavorare da noi..". E’ lusinghiero, per l’ego, ma nulla più.

La sua playlist del momento?

"Still walking", un film giapponese di Hirokazu Kore-Eda che mi è piaciuto molto, dove c’è anche una storia di lutto e qualcosa di surrettizio che risale al seno della famiglia. Poi sto leggendo l’ultimo Modiano, "Dans le café de la jeunesse perdue", che parla ugualmente di un’assenza e di una sconosciuta. Mi piace la sua scrittura. E in musica ascolto molto l’ultimo album di Benjamin Biolay.

Una parola in conclusione?


Ma no! A lei di trovarla, ora. Io non concludo, non so concludere, amo i finali aperti, non chiusi. Questa sarà la mia conclusione.


Filmografia
Sitcom - La famiglia è simpatica (Sitcom) (1998)
Amanti criminali (Les amants criminels) (1999)
Sotto la sabbia (Sous le sable) (2000)
Gocce d'acqua su pietre roventi (Gouttes d'eau sur pierres brûlantes) (2000)
8 donne e un mistero (8 Femmes) (20)
Swimming Pool (2003)
CinquePerDue - Frammenti di vita amorosa (5x2 - Cinq fois deux) (2004)
Il tempo che resta (Le temps qui reste) (2005)
Angel - La vita, il romanzo (Angel) (2007)
Ricky - Una storia d'amore e libertà (Ricky) (2009)
Il rifugio (Le refuge) (2009)
Potiche - La bella statuina (Potiche) (2010)

Magazine "Paris à Nous", n°465 del 25 gennaio 2010
Intervista: Fabien Menguy
Traduzione: Carlo Ligas

domenica 4 ottobre 2009

AMANTI CRIMINALI (Les amants criminels) DI François Ozon (1999)

“Noi che guardiamo siamo tutti criminali, siamo dei guardoni. E seguiamo l’undicesimo comandamento: “Non farti scoprire”.
(Alfred Hitchcock)

Alice e Luc sono due adolescenti della provincia francese, insieme uccidono Said, un loro coetaneo, e nella fuga si perdono (ritrovano) in una selva oscura.


Un crimine in società sancisce un legame più sacro e impetuoso di un matrimonio, di un amore proibito, di un figlio. La complicità di un omicidio è il vincolo che il magnifico Ozon, fondendo la favola con il noir, derubrica dalle efferatezze e consegna alle "honeymoons" sognate: come Malick ne “La rabbia Giovane”, come Van Sant in “Elephant” e, chiaramente, come Arthur Penn in “Bonnie and Clyde”. La cronaca di una deriva, dell’amore immaturo, fragile e dannato, suscitato dalla bellezza dei corpi e da “una magnifica sorsata di veleno” (Alice legge “Notte dell’Inferno” di Rimbaud in classe mentre guarda la vittima), sembra incantarsi felicemente alla fiaba del bosco. Tra orrori e iniziazioni etero e omosessuali, l’Orco che li cattura e segrega nella sua capanna, paradossalmente offre ad Hansel e Gretel un percorso di redenzione al riparo del mondo “realmente” implacabile. Per un attimo la convinzione che, grazie ad azioni sconsiderate, i loro sogni possano realizzarsi, si congiunge a grandiose, sublimate, inquadrature Ozoniane: tutti gli animali del bosco partecipano alla loro “prima volta”.
E qui la favola termina; come finisce l’adolescenza, all’improvviso, lasciando un recapito inesistente. Da qui in poi si entra in un altro paese, si sorpassa la dogana. L’ultima goccia amniotica si è asciugata, è evaporata dalla pelle imberbe di Luc e Alice. Dopo c’è il castigo, la fine, l’ultimo sguardo sugli amori impossibili.


Francois Ozon gira a un centimetro dalle pelle dei protagonisti (una bravissima Natacha Regner e un incredibile Jeremie Renier) con una tale lucidità che infine risulta più increscioso il nostro speculare su questi misfatti pruriginosi e catartici che i delitti dei giovani criminali. Come Hitchcock, il francese accresce la suspense della nerissima trama con un atto d’amore che sembra non compiersi mai, per colpa (merito) di una ragazza bionda, glaciale, persa, superiore.
Come Larry Clark è spietato nel rappresentare un mondo, quello dell’adolescenza, eccitato nella sua irresolutezza.
Come Resnais è talmente bravo da farci intravedere, sulla cornice, un documentario del film stesso con una fluidità che delinea la consistenza di questo grande metteur in scene.
Mentre guardiamo siamo dentro, siamo fuori, ne siamo pervasi. Ozon e il suo senso di artefatto (si veda la scena dell’atto sessuale tra Luc e Alice, circondati da animali posticci) sono una studiata premessa per poi assalirci, invadere noi e i protagonisti, dell’illuminazione e dell’epifania che schiude la consapevolezza.
Questo mimetismo con il reale, "come i disegni e le forme protettive degli animali, trascende lo scopo della rappresentazione, della sopravvivenza"¹, per regalarci il prestigio dell’illusionista e lo splendore di un cinema così lucidamente consapevole dei suoi meccanismi.


Voto: 8
Luca Tanchis



Note:
¹ La magia, la destrezza di mano e trucchi di vario genere hanno una parte non trascurabile nella sua narrativa. Servono a divertire o hanno anche un altro scopo?

L’inganno è praticato in maniera ancora più elegante da quell’altro V.N. che si chiama Natura Visibile. La scienza attribuisce una funzione precisa al mimetismo, ai disegni e alle forme protettive degli animali, eppure la loro perfezione trascende lo scopo elementare della mera sopravvivenza. Nell’arte lo stile individuale è sostanzialmente tanto futile e organico quanto un miraggio. La destrezza di mano cui lei accenna non è molto più della destrezza d’ala in un insetto. Un bello spirito potrebbe dire che mi protegge dai poveri di spirito. Lo spettatore riconoscente è pronto ad applaudire la grazia con cui l’artista mascherato si mimetizza con lo sfondo della Natura fino a scomparirvi. 

(Intransingenze, Vladimir Nabokov, ed. Adelphi, 1994)