martedì 6 giugno 2017

Karen Joy Fowler, Siamo tutti completamente fuori di noi


Prologo  

Chi mi conosce oggi sarà sorpreso di sapere che da piccola ero una gran chiacchierona. C’è un filmino girato quando avevo due anni, di quelli vecchi senza sonoro, e anche se dopo anni i colori sono sbiaditi — il cielo bianco, le mie scarpette rosse di un rosa esangue — tuttavia si può vedere quanto parlavo. 
Sto lavorando per abbellire il paesaggio, prendo un sasso alla volta dal vialetto del garage, lo porto in una grande tinozza, lo lascio cadere dentro, torno indietro a prenderne un altro. Lavoro sodo, ma con ostentazione. Spalanco gli occhi come una diva del muto. Tengo in mano un pezzo di quarzo per farlo ammirare, lo metto in bocca, lo spingo contro una guancia. 
Mia madre appare e lo toglie. Quindi fa un passo indietro fuori dall’inquadratura, ma ecco che parlo in modo enfatico — si può vedere da come gesticolo — e allora torna indietro, e fa cadere la pietra nella tinozza. L’intera azione dura circa cinque minuti durante i quali non smetto mai di parlare. 
Qualche anno dopo, mamma aveva l’abitudine di leggerci quella vecchia fiaba in cui una sorella (la maggiore) parla in rospi e serpenti e l’altra (la più piccola) in gioielli e fiori, e questa è l’immagine che mi evocava, quella scena da quel filmino, in cui mia madre mi infila una mano in bocca e ne tira fuori un diamante. 
Ero biondina all’epoca, una bambina più bella di come sarei risultata da grande, e agghindata per la cinepresa. La mia frangetta ribelle è pettinata con l’acqua e trattenuta di lato da una molletta con un fiocco di strass. Ogni volta che giro la testa, la molletta scintilla al sole. Le mie manine sono indaffarate sulla tinozza delle pietre. Tutto questo, sembro dire, tutto questo un giorno sarà vostro. O qualcosa di totalmente diverso. 
Il punto delle riprese non sono le parole in sé. Ciò che i miei genitori consideravano degno di nota era la loro stravagante abbondanza, il loro flusso inesauribile. 
Eppure c’erano momenti in cui dovevo essere arginata. Quando hai in mente due cose da dire, scegli la tua preferita e di’ solo quella, mi suggerì una volta mamma, piccola dritta per un comportamento sociale adeguato, e la regola venne in seguito modificata in una su tre. 
Mio padre si fermava ogni sera sulla porta della mia stanza per augurarmi la buonanotte e io parlavo senza riprendere fiato, cercando disperatamente di trattenerlo nella mia stanza col solo potere della voce. Vedevo la sua mano sulla maniglia, e la porta che cominciava ad accostarsi. Devo dirti una cosa! gli dicevo, e la porta si fermava a metà. 
Comincia dal centro, rispondeva allora, un’ombra contro la luce del corridoio, stanco della stanchezza serale che conoscono solo gli adulti. La luce si riverberava sulla finestra della mia stanza come una stella cadente. 
Salta l’inizio. Comincia dal centro.

***
Il  pranzo per il Ringraziamento

Era il turno di nonna Dana di invitarci a pranzo per il Ringraziamento, assieme a zio Bob, sua moglie e i miei cugini più piccoli. Alternavamo i nonni per le feste comandate, perché bisogna essere imparziali, e perché poi solo una parte della famiglia doveva prendersi tutto il divertimento? Nonna Dana è la madre di mia madre, nonna Fredericka la madre di mio padre.
A casa di nonna Fredericka il cibo aveva la compattezza dei carboidrati umidi. Una porzione piccola durava tantissimo, e non c’erano mai porzioni piccole. La sua casa era zeppa di paccottiglia asiatica – ventagli decorati, statuine di giada, bacchette laccate. C’era un paio di lampade accoppiate – paralumi di seta rossa e basi di pietra scolpita nelle sagome di due vecchi saggi. I saggi avevano barbe lunghe e sottili, e nelle loro mani di pietra erano state incastonate delle unghie vere, con un effetto raccapricciante. Qualche anno fa, nonna Fredericka mi disse che il terzo piano della Rock and Roll Hall of Fame era il posto più bello che avesse mai visto. Ti fa venir voglia di essere migliore, aggiunse.
Nonna Fredericka era quel tipo di padrona di casa convinta che costringere gli ospiti a seconde e terze porzioni sia pura cortesia. Per contro, mangiavamo molto di più da nonna Dana, che ci lasciava liberi di riempirci i piatti oppure no, dove le crosticine delle torte erano croccanti e i muffin di arancia e mirtilli leggeri come nuvole; dove c’erano candele argentate in candelabri d’argento, un centrotavola di foglie secche autunnali, e tutto era condotto con un gusto ineccepibile.
Nonna Dana passò il ripieno di ostriche e chiese diretta a mio padre su cosa stesse lavorando, perché era evidente che i suoi pensieri erano molto lontani da noi. Lo fece come reprimenda. Lui fu l’unico al tavolo a non accorgersene, oppure fece solo finta. Rispose che stava portando avanti un processo markoviano di analisi sul condizionamento evitante. Si schiarì la gola. Aveva intenzione di dire qualcosa in più.
E allora ci muovemmo in gruppo per bloccare l’eventualità. Armoniosi come un banco di sardine, rodati, sincronizzati. Era suggestivo. Era pavloviano. Era una stronzissima esibizione di condizionamento evitante.

Siamo tutti completamente fuori di noi (We Are All Completely Beside Ourselves), di Karen Joy Fowler
Editore: Ponte alle Grazie, 2015 - Traduttore: L. Berna

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Karen Joy Fowler è nata a Bloomington, Indiana, nel 1950. È autrice di romanzi e racconti realistici, di fantascienza e fantasy, spesso difficilmente riducibili a un unico genere. Il suo libro più celebre è Jane Austen book club (2005), da cui è stato tratto il film di Robin Swicord Il club di Jane Austen (2007). Siamo tutti completamente fuori di noi, ora nelle librerie italiane per Ponte alle Grazie, ha vinto nel 2014 uno dei più prestigiosi premi americani, il PeN/Faulkner (per la giuria «Fowler dà un nuovo significato al principio secondo cui “ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”»).

Karen Joy Fowler si racconta:

Sono nata a Bloomington, nell'Indiana. Ero prevista per San Valentino, ma sono arrivata una settimana prima; per questo, mia madre, ha incolpato una partita molto emozionante di basket universitario.
Mio padre era uno psicologo presso l'Università, ma non quel tipo di psicologo. Ha studiato il comportamento degli animali, e in particolare l'apprendimento. Faceva correre ratti attraverso labirinti. Mia madre era una sopravvissuta alla polio, un maestra di scuola, e un pioniere del movimento cooperativo per la scuola materna. Insieme al basket, la mia famiglia amava i libri. Il giorno in cui ho ottenuto la mia prima tessera bibliotecaria c'è stata una cena speciale di festeggiamento. E prima che imparassi a leggere, ricordo che mio padre mi lesse l'Iliade, anche se in realtà la stava leggendo a mio fratello maggiore, ero lì per caso. Un libro sconvolgente! E ricordo Mary Poppins e Winnie the Pooh con la voce di mio padre e un sacco di altre cose che non erano ancora dei film. I miei genitori disapprovavano fortemente la versione Disney. Pooh credeva in un cucchiaio di miele, ma Mary Poppins no.


Ho grandi ricordi di Bloomington. Il nostro isolato era pieno di bambini e insieme abbiamo compiuto giochi che si estendevano per interi quartieri, con dieci bambini per lato. Uno dei miei amici d'infanzia era Theodore Deppe, che ora è un poeta eccezionale. Da grande volevo diventare un'addestratrice di cani.

Entrambi i miei genitori sono stati allevati nel sud della California e così consideravano il ​​nostro tempo in Indiana come un esilio. Quando avevo 11 anni offrirono a mio padre un lavoro per l'Enciclopedia Britannica che rese necessario il nostro trasferimento a Palo Alto, in California. I miei genitori furono entusiasti di rientrare. Mio fratello maggiore, per ragioni che mi sfuggono, lo fu ugualmente. Per me è stato devastante.

Palo Alto era molto più sofisticata di Bloomington. Durante la ricreazione a Bloomington giocavamo a baseball, saltavamo la corda, sceglievamo i giochi a seconda della stagione. Le ragazze di Palo Alto della mia età si sistemavano continuamente i capelli, ascoltavano la radio, parlavano fisso di ragazzi. Lo ritenni uno scambio triste rispetto a Bloomington. La cosa migliore delle medie era che il mio insegnante, Miss Sarzin, ci fece leggere Lo Hobbit.

Dopo aver letto tanti altri libri, mi sono diplomata e, nel 1968, da Palo Alto mi sono trasferita a Berkeley. Ero studente in scienze politiche e attivista contro la guerra. Ero a Berkeley durante il People's Park , quando la città fu occupata e c'erano carri armati agli angoli delle strade, e io ero lì durante gli assassini e le sparatorie del Jackson State / Kent State. Qui ho incontrato mio marito. Faceva parte del movimento per la Libertà di Parola; che era la mia idea di glamour. Ci siamo sposati l'anno in cui mi sono laureata e siamo andati insieme alla specializzazione dell'Università della California a Davis .

Appena laureata mi sono interessata in particolare all'India e a Gandhi, e generalmente all'imperialismo. Trovo affascinante l'incrocio di culture, le incomprensioni che si verificano, gli errori che vengono fatti innocentemente. Non sono così affascinata dagli errori che non siano innocenti, anche se ce ne sono molti di più del secondo tipo. Negli studi mi sono poi concentrata sulla Cina e il Giappone. Non sono mai stati veramente chiari i miei obbiettivi di carriera – ma comunque, ho avuto il mio primo figlio durante le vacanze di primavera dell'ultimo anno del mio master. Dopo due anni meno sei giorni ho avuto un secondo figlio. Io e mio marito viviamo ancora a Davis, sebbene i nostri figli siano già andati via per il college e altri motivi.

Ho deciso di provare ad essere una scrittrice al mio trentesimo compleanno.


(dal suo sito internet: karenjoyfowler.com)

(trad. Luca Tanchis)

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