domenica 4 giugno 2017

2. Entertainment, di Rick Alverson (2015) Eyeglass prescription - Best Film 2015/2016



2. Entertainment (2015)

Un comico depresso di mezza età, in tournèe per tentare di rilanciare la sua carriera in declino, mette in scena una serie di spettacoli terminali nel deserto del Mojave. (103 minuti).

Director: Rick Alverson
Stars: Gregg Turkington, John C. Reilly, Tye Sheridan, Amy Seimetz


Non è programmatico Alverson, non allestisce un film assertivo e neppure racconta microstorie dell'America rurale e periferica.
Stilisticamente preferisce porre i personaggi tra l'immagine rivelata e quella sottostante, più fedele¹. In un dissimulato che sollecita dal torpore seriale, dallo spiegone narrativo, dalla carineria stile Sundance.
C'è un uomo e un grande deserto; un comico che ha percepito come i parametri per misurare la realtà, come precedentemente conosciuta, siano saltati, ma non ha le capacità per evitare che le sue performance non diventino disconnesse: la sua “arte” non ha più corrispondenza con il pubblico, superata a destra, sinistra, sopra e sotto dallo spontaneismo, dalle storie “vere”, dal situazionismo mediale, dalla volgarità più bassa.
L'artista è rimasto indietro, l'uomo è andato oltre, consapevole del territorio direbbe Houellebecq, ma senza biografia da calare.

In questo irrealismo magico, nell'irrealvisceralismo del fitness spiritoso che subiamo incessantemente e in cui gareggiamo di continuo, Neil Hamburger raffigura il rifiuto, il “preferirei di no” meglio rappresentato degli ultimi anni, proprio come il "No. Non voglio giocare con te" proferito dal Pinocchio di Robert Coover, che non vuole più essere una marionetta, non subisce più il fascino della fata.
Alverson, senza furberie, fa del suo stile una forma coerente a questa negazione, a questa paralisi, non regalando niente a chi voglia entrare in questo deserto, nessun sermone di cortesia; un urlo contro un mondo che fa dell'intrattenimento sempre più basico un nichilismo che azzera tutti i valori, ammantandoli di leggerezza.
Uno "spiritosismo" vacuo che freneticamente cerca di spazzare sotto il tappetto forse l'unico linguaggio comune di questi tempi: il malessere e la sofferenza mentale. 

Dillinger è morto, e nel film quella pistola che Michel Piccoli rimesta e ripulisce continuamente è il nostro Entertainment.


È questo ciò che facciamo realmente in questo business, vendiamo...Vendiamo alcol. È per questo che mi fanno esibire in posti del genere, per vendere più alcol.(dal film)


Ci siamo dentro fino al collo, come scriveva Neil Postman in In Divertirsi da morire, “Ci sono due modi”, scrive Postman, “per spegnere lo spirito di una civiltà: nel primo – quello orwelliano- la cultura diventa una prigione. Nel secondo – quello huxleiano- diventa una farsa.
“Nella profezia di Huxley”, spiega Postman, “non c’è un Grande Fratello che, per sua scelta, guarda verso di noi. Siamo noi, per nostra scelta, a guardare verso di lui. Non c’è bisogno di carcerieri, cancelli, telecamere. Quando una popolazione è distratta da cose superficiali, quando la vita culturale è diventata un eterno circo di divertimenti, quando ogni serio discorso pubblico si trasforma in un balbettio infantile, quando un intero popolo si trasforma in spettatore e ogni pubblico affare in vaudeville, allora la nazione è in pericolo: la morte della cultura è chiaramente una possibilità”.
“Siamo tutti pronti ad abbattere una prigione, quando i cancelli stanno per rinchiudersi su di noi. Ma che succede se non si odono grida d’angoscia? Chi è disposto a prendere le armi contro un mare di divertimenti?”²


Ce l'hai con me? Ce l'hai con me?- Robert De Niro! "Sì."
Vola, pellicano, vola!- Scarface! "Già, Scarface."
Ora tocca a te. Vuole che tu faccia un'imitazione. The Comedian: "No". (dal film)

Che succede se poi un intero popolo, senza titoli e senza preparazione, ma semplicemente rispondendo alla chiamata alle armi dei mille social, si trasforma da target dell'intrattenimento a intrattenimento lui stesso? 
Come accoliti di una nuova grande fede che diventano venditori di icone religiose, di gag, scherzi, conigli dai capelli, pervasivi come musica da ascensore, come rito collettivo di individualisti che disprezzano ogni forma di serietà, silenzio, imbarazzo: a psychic war of all vs. all, una follia popolare per quello che è il reality in tutte le sue forme.
L'orrore, l'orrore...tutti come baccelli del riflesso della caverna.
Una rappresentazione continua di noi stessi, giustificata da mode e tecnologia, che crediamo indispensabile da espettorare, ma che rivela invece (come per Neil Hamburger) una fuga da noi stessi, da casa, dalle persone vicine con cui interagiamo solo attraverso cuscinetti tecnologici, in maniera sempre più apatica.
Un balletto impasticcato, coreografato dai media, ritwittato dalla case farmaceutiche, imitato nei social, curato dagli squadroni del particolarismo, istigato dal terrore di essere anacronismi; la neolibertà di contemplarsi come una startup dello spontaneismo.
Tutto si confonde: pubblico e privato, artista e fruitore, autorevolezza e cinismo.
L'Entertainment ha cambiato sistema di assimilazione. Entertainment è ormai un film universale, il continuum è assoluto.³
Alverson, attraverso l'anti-comedian ideato da Gregg Turkington, mostra un residuo condannato dal neoliberismo digitale, un performer nel vuoto, per sordomuti, perchè lavorando sulla creazione di inquietudine e sovvertimento delle aspettative, non è replicabile. 


"Ciao, tesoro. Sono papà. Sono nel deserto, è bellissimo. Fa caldo ma è stupendo e... oggi...Ho fatto un giro in un cimitero di aeroplani che c'è qui fuori, ci sono tutti i tipi di aereo che vuoi: 737, 747, Jumbo Jets. E puoi anche entrare dentro agli aeroplani. E...io...ci sentiamo presto. Buonanotte." (dal film)

Il protagonista è un artista inutile, senza un pubblico, una marionetta stanca come un lungo VHS a fine corsa.È un lavoratore arcaico che non ha nessuna corrispondenza con il pubblico digitale e con questa realtà trasformatasi in dispositivo. Non la realtà della Natura che ci illudiamo di poter gestire, imponendo filtri della palette colori sui nostri panorami instagram, ma che partorisce caos e bambini anche dentro un bagno pubblico.


Il Comico ne è consapevole, ma è incapace di cambiare, di adeguarsi. La sua è una fuga disperata nel deserto: il suo mestiere non ha più senso, insignificante la sua parola e ogni direzione gli è insopportabile come la noia a un bambino. 

«I burattini non crescono mai» aveva detto la fata, agitando il dito davanti a lui, tanti anni prima. «Nascono burattini, vivono burattini e muoiono burattini!»
Un'odissea nello spazio dell'Entertainment che è la quasi totalità del mondo virtuale-reale-virtuale contemporaneo. Un Entertainment che è un mondo in scala nel quale siamo rapiti e dalle cui gabbie forse ci evolveremo per superare la Frontiera, ma che al momento è la forma quasi totalizzante dello stare al mondo: Entertainment globale, come una nuova religione nelle chiese dei nonluoghi sconsacrati.



Luca Tanchis


Note:
¹ Noi sappiamo che sotto l’immagine rivelata ce n’è un’altra più fedele alla realtà, e sotto quest’altra un’altra ancora, e di nuovo un’altra sotto quest’ultima. Fino alla vera immagine di quella realtà, assoluta, misteriosa, che nessuno vedrà mai. O forse fino alla scomposizione di qualsiasi immagine, di qualsiasi realtà. Il cinema astratto avrebbe dunque una sua ragione di essere (Michelangelo Antonioni, 1964). 

² estratto dalla recensione su Carmillaonline:
https://www.carmillaonline.com/2003/10/16/postman-divertirsi-da-morire/

³ Possiamo distinguere l’arte dall’intrattenimento? Per esempio, possiamo definire artistico un programma televisivo di intrattenimento se è davvero ben fatto? Come il tuo Entertainment*: è arte o solo intrattenimento?

Mi stai facendo una domanda cruciale su quella che si definisce “estetica”. La questione di ciò che è arte, il vostro Tolstoj ha scritto un libro intero su questo argomento. E una questione molto, molto complicata. Personalmente, ritengo ci sia una differenza fra arte e intrattenimento. Ma non c’è una netta linea divisoria fra le due cose, è più... conosci la parola “continuum”?

Sì, ho studiato matematica.

Qui abbiamo qualcosa di più simile a un continuum che a una rigida demarcazione. Una ragione che rende molto interessante la domanda proprio adesso è che l’America è diventata molto molto molto brava nel produrre intrattenimento. Un intrattenimento vivido, spettacolare, avvincente, colorato, sofisticato. E molti studiosi ed esteti americani si domandano in che modo l’arte seria sopravvivrà in una cultura che è sempre più intrattenimento e divertimento e fuga.

Entertainment nel tuo libro lo consideri arte o...

Il film? (…) la mia congettura è che l’intrattenimento davvero davvero efficace di solito è commerciale, il che significa che il suo obiettivo primario è portare il pubblico a spendere soldi. Alla base dell’economia c’è un fenomeno che si chiama “elasticità della domanda”.
Mentre quello che si vuole ottenere è l’inelasticità della domanda, in virtù della quale l’intrattenimento ideale è qualcosa che la gente vuole vedere di nuovo, e ancora, e di nuovo, e ogni volta paga per vederlo. Per me, l’analogia è piuttosto con i narcotici o le droghe che danno dipendenza, che con qualche forma d’arte. Ma probabilmente in quel libro il film vuole essere una sorta di parodia, l’esagerazione dell’intrattenimento, proprio come il tempo sponsorizzato è una specie di parodia del dominio economico sulla cultura.


Nondimeno, è arte?

Qui sta il problema: io e te potremmo sederci con un bricco dì caffè e moltissime sigarette e discutere per filo e per segno di questo argomento. Il punto è che qualunque definizione si dia dell’arte o in qualunque modo si cerchi, con una frase o due, di distinguere l’arte dall’intrattenimento, ogni argomentazione può essere sbaragliata da un’infinità di contro-esempi. Penso due cose molto semplici: una è che il tratto basilare che definisce un intrattenimento artistico è che fornisce una sorta di sollievo o di fuga dalla vita umana reale e da come ci sentiamo dentro continuamente nella vita reale. 

Mentre l’arte, probabilmente, provoca più un impegno o un confronto con tutto questo. E questa è una ragione per cui l’arte rende necessario più lavoro dell’intrattenimento sia dal punto di vista intellettuale che emotivo. Per me, questa è una differenza. L’altra è che gli obiettivi dell’intrattenimento - così mi capita spesso di pensare - sono, in America, primariamente economici, essenzialmente oggetti commerciali. E il loro vero obiettivo è far sì che il consumatore spenda dei soldi.
Al contrario l’arte, anche quella di cattiva qualità, di solito ha obiettivi più complessi, che hanno almeno in parte a che vedere con il tentare di fare una sorta di dono o di avere una specie di comunicazione significativa con il pubblico. Non che ci riesca sempre o che a volte non sia davvero pessima. Ma, almeno, nel profondo si dà degli obiettivi. Queste sono le mie due strade per distinguere, di pancia o con l’intuito, fra le due cose, ma ovviamente entrambi potremmo trovare centinaia dì contro-esempi che renderebbero queste differenze piuttosto difficili da sostenere in una discussione.

* Così viene chiamato in Infinite Jest il film perduto che dà il nome al romanzo: il film dava una fortissima dipendenza a chi lo vedeva anche solo una volta.
James O. Incandenza, è il creatore di Entertainment (a.k.a. Infinite Jest o The samizdat).


(stralcio di un intervista di Ostap Karmodi a David Foster Wallace in "David Foster Wallace: Un'intervista inedita", Terre di Mezzo Editore, 2012)

⁴ tratto da Pinocchio in Venice, di Robert Coover, 1991, traduzione di Luca Briasco

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