martedì 23 ottobre 2012

Dans la maison, di François Ozon (2012)



“À suivre..”

Come già in precedenti esperienze, il Maestro Ozon ritorna in questa sua opera al tema della famiglia, mettendone al centro, come autentico spartitraffico della narrazione, una tra le più idealizzate, stereotipate, che sia possibile vedere nel nostro presente sociale. Questa famiglia ideologicamente “media”, ridondante del suo apparente benessere morale, ancor più manifesto di quello finanziario, scatena la perversa curiosità di Claude (Ernst Umhauer, talentuoso, perfettamente pregno del mal de vie adolescenziale, giovane dal sicuro potenziale e assicurato ad un florido futuro cinematografico), liceale introverso dalla situazione familiare completamente agli antipodi di quella così esemplare del suo compagno Rapha.


Scoperto dal suo professore di lettere (un magistrale Fabrice Luchini) come enfant prodige della scrittura, questa sua dote gli permetterà prima di accattivarsi l’attenzione viepiù coinvolta e connivente del suo insegnante e di conquistarsi poi l’accettazione, uno spazio, un ruolo nella casa della famiglia che ha a lungo scrutato e desiderato avvicinare.


Il professor Germain Germain (Luchini), risvegliandosi, in quello che sembra un ennesimo normalissimo inizio di anno scolastico, dal torpore della disillusione per un mestiere che non gli ispira più nessuna passione, sprona il suo giovane allievo a coltivare le sue capacità, divenendo suo malgrado protagonista della febbre descrittiva che alimenta con tanto entusiasmo e che plasma con correzioni e nobili esempi storici, arrivando fino a truffare perchè Claude continui a produrre le sue composizioni che Germain legge, rilegge e analizza nell'intimità coniugale, accanto ad una meravigliosa Kristin Scott Thomas, al secondo ruolo coniugale stagionale, dopo il riuscito “Cherchez Hortense”. Nella cura di questo rapporto particolareggiante tra Maestro-Allievo, il regista profila un perfetto assioma trasversale e a ritroso di edipicità, del senso di rivalsa paterno verso le proprie frustrazioni infine sconfitte attraverso la realizzazione della vita dei propri figli, carnali o putativi essi siano; Germain trova infine modo di dare sfogo alla sua verve narrativa da scrittore che ha abdicato al primo libro, per realismo, non il realismo di Zola ma quello più pragmatico che permette di riconoscere i propri limiti.


Spinto dal suo pigmalione a seguire ciò che gli crea emozione, ciò che desidera, Claude, in preda ad emozioni sommarie dettate dalla sua giovane età, finisce col mettere in pratica un’autentica escalation: entrare nella casa, poterci restare, passare di stanza in stanza, farne finalmente parte, scoprire, giustificando inoltre la sua cupidigia verso questo focolare domestico, ciò che era, ancora a livello inconscio, il reale motore di questa sua curiosità: una legittima attrazione puramente sessuale, formativamente adolescenziale, per Esther (Emmanuelle Seigner, prova discreta in un ruolo discreto, prova riuscita), madre del suo compagno di classe, personaggio pateticamente oppresso dalla casa di cui è regina e ostaggio, schiava del suo unico interesse, rendere più bello il simbolo medesimo dell’armonia della sua famiglia, la sua dimora, attraverso la sua unica valvola di sfogo, la decorazione della medesima cella delle sue aspirazioni, le cui chiavi sono saldamente in mano del marito (Denis Ménochet, bravo nel difficile ruolo di uomo stupido, dopo la folgorante interpretazione protagonista dell’uscita estiva “Je me suis fait tout petit”).


Il rischio di staticità dato dal perno narrativo svolto dalla casa viene perfettamente ridinamizzato da un montaggio molto fluido che rende armoniosi i diversi punti di vista (l’IN & OUT, dentro e fuori la casa) e mescola, tra marce ridotte che scalano sulle naturali esitazioni dello scrivere e dell’inventare, accelerazioni imprevedibili e improvvisi salti temporali, efficaci parallelismi tra realtà e fantasia, la fantasia al suo stato sorgivo, mentre sgorga fresca dalla mente del giovane protagonista, in una costante correzione di bozze alla velocità di una gomma di matita su di un manoscritto, sorretto dal classico espediente della voce fuori campo, escamotage che, seguendo i pensieri del protagonista intento a scrivere, permette di deviare, planare, reintrodursi nella stesura continua. Ma soprattutto, a rendere vivace la corrente narrativa del film, è lo scorrere liquido (come d’inchiostro) dell’excursus della produzione artistica, fatta di ricerca, emozioni vissute e viste vivere, avvicinamento ai soggetti ispiratori, in un costante e logorante safari emozionale, foriero di ispirazione e di tormento per ogni scrittore. Questo sembra essere il relativo messaggio portante della pellicola, la lotta creativa, il travaglio fantastico dell’autore, il cui risultato altro non è che il prodotto delle sue lacrime, del suo sangue, delle sue paure e dei suoi desideri, del coraggio e delle perversioni di cui la sua anima, prima della sua arte, si nutre.

Voto: 8
Carlo Ligas

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