lunedì 23 febbraio 2015

Criolo: con Amore. Intervista al musicista brasiliano


L’ultima volta che sono stato a São Paulo non si riusciva a fare un passo per strada senza sentire da qualche parte la musica di Criolo. Era la fine del 2011 e il rapper 37enne era appena uscito con la sua magna opera multi-genere, Nò Na Orelha, dopo aver covato sotto le ceneri dell’underground paulista per decenni. Improvvisamente, cominciò a fare il pienone ad ogni concerto e festival a cui partecipasse. Ad ogni angolo, ci si poteva imbattere negli struggenti accordi e nel cantato delicato di Não Existe Amor en SP, (non c’è amore a São Paulo). Il pezzo meno brasiliano di sempre, un lento, cinico lamento sull’espansione della città più grande dell’America Latina di uno sconosciuto artista rap, senza essere un pezzo rap, in ogni caso. Ma il tipo di canzone che ti entra dentro.
Per quanto inatteso, nessuno poteva negare che Criolo stesse creando qualcosa di assolutamente nuovo e potente. In una città con almeno un migliaio di scene musicali differenti, lui si indirizzava a tutti. I boss dell’Hip Hop da favela lo prendevano in considerazione, i ragazzini indie in strettissimi jeans approvavano. Inoltre, aveva un “santo in paradiso”: in un articolo di qualche mese prima, Caetano Veloso ha scritto di lui: “Probabilmente la figura più rilevante della scena pop odierna”, che equivale a Michael Jordan che ti dice che sei il miglior giocatore di basket sulla terra.


Ciò che lo distingue dai suoi colleghi è che più che un musicista lui si sente un messaggero. Alla testa di una band di sette componenti, al Brazilian Summerfest nel Central Park di New York, passeggiava tranquillo sul palco con aria estatica, allucinato, quasi messianico: “questa è musica per il cuore e per lo stomaco” ha gridato, incoraggiando il pubblico a alzare le mani e far ondeggiare le dita, come se fosse una riunione della chiesa pentecostale. “Musica che rispetta la gente”. Si è inginocchiato ed inchinato davanti al pubblico, puntando un dito verso il cielo: “La musica è amore!”.
Prima della sua esibizione, ho avuto occasione di chiacchierare un po’ con lui della sua missione musicale, nel backstage. Di persona, è disarmante. È gentile, quasi timido ma con una notevole intensità. I suoi occhi restano fissi su chiunque a cui parli, la sua voce così melliflua va in crescendo ogni volta che l’argomento che affronta lo appassiona: disparità, disuguaglianze, ingiustizie. Parla forbito, evitando espressioni gergali, come a declamare delle grandi verità, in un portoghese preciso e labirintico allo stesso tempo. Eccovi i pensieri di Criolo, il re dei filosofi Paulisti.

Hai fatto un lungo viaggio per arrivare fin qui. Oggi sei stato elogiato come uno dei musicisti brasiliani più importanti. Che effetto ti fa?

In Brasile, puoi trovare persone talentuose dappertutto; certi trovano l’opportunità giusta, altri no. Molte persone mi hanno aiutato e continuano a farlo, sono molto grato a tutti loro per la fiducia e l’affetto che mi hanno dimostrato. Ciò che faccio, lo faccio col cuore. Ma allo stesso tempo non mi esalto.

Sei cresciuto col rap ma l’album che ha lanciato questa fase di successo della tua carriera non è un album propriamente rap. In realtà canti veramente nella maggior parte dei pezzi e la musica ha influenze che vanno dall’afrobeat al reggae. Cosa ti ha ispirato?

Certo, questo album contiene pezzi scritti negli ultimi quindici anni e col tempo anche il mio stile è evoluto. I miei genitori erano emigrati a São Paulo dal nord-est del Brasile quindi sento in me molte influenze che provengono da quella parte del paese. Sono cresciuto tra le feste da ballo scolastiche con DJ improvvisati e la chiesa e mi sono formato con la pop internazionale. Questo album è stato l’occasione di mettere insieme molti tipi di suoni spesso diversi fra loro. È molto organico, molto naturale.

Crescere in quella che a São Paulo chiamano pereferia (i sobborghi) sembra aver influenzato parecchio la tua musica. Puoi spiegarci un po’?


Sono nato e cresciuto nei sobborghi della Favela das Imbuidas. Ho vissuto laggiù per sei anni, in una baracca di legno, mura e soffitto, col pavimento in nuda terra. Poi ci siamo spostati a Grajaù, appena aldilà della strada, e lì ho vissuto tutto il resto della mia vita. Ogni giorno, vedevo mio padre alzarsi alle sei del mattino e rientrare a mezzanotte: era così per tutti.
Avevamo molte difficoltà: negli anni ’80 e ’90, secondo il tuo quartiere d’origine e i vestivi che portavi, la gente ti guardava con occhi diversi. Ma tutto quello che so l’ho imparato a Grajaù: il rispetto verso le persone, come sopravvivere a São Paulo, città traboccante d’arte e diversità culturali ma anche di dure prove da affrontare.

Credi che ci siano parecchi pregiudizi verso gli abitanti delle favelas?

Non soltanto in Brasile, ovunque nel mondo. È dovuto al fatto che le attitudini delle persone scaturiscono dal loro bagaglio culturale, dalle loro convinzioni, dalla maniera con cui etichettano la gente. Questo non succede solo nei paesi meno sviluppati, a causa della povertà materiale ma anche altrove, dove c’è una povertà morale che ci impedisce di capire che siamo tutti fratelli e tutti uguali. Questo male non è quindi limitato a certe zone del mondo, è nella mente umana. Perciò l’arte è così importante. Oltre a rigenerarci e farci vivere belle esperienze ci permette anche di riflettere. Crea delle interazioni tra le anime, ci dà la possibilità di cambiare idea, di chiederci “cosa ci stiamo a fare qui?”. I pregiudizi, al contrario, sono qualcosa di infimo ed insignificante, che non merita la nostra attenzione.


Il pezzo principale del tuo disco è “Não existe amor en SP”. Pensi davvero che non si possa trovare amore nella città che ami?


È una canzone che si indirizza direttamente alle persone che hanno creato la realtà attuale di São Paulo. L’amore esiste, certo, nel cuore di ogni persona, ma mi chiedo: c’è amore nel cuore delle persone che prendono le decisioni che riguardano tutto il mondo? E come possiamo creare una realtà nella quale ognuno stia meglio con sé stesso?
È facile dire che la gente è depressa, ma quando nasci, sei una creatura pura e da quel momento in avanti tutto ciò che vivi e che provi dipende dalla situazione in cui ti trovi: hai tutto se nasci ricco o niente se sei nato in una famiglia in ristrettezze. Le tue possibilità sono determinate da due o tre momenti prima di cominciare a prendere decisioni da solo. Quindi dove è nato questo scoraggiamento?
Possiamo viaggiare per il mondo e vedere che abbiamo punti in comune e diversità culturali, ma c’è gente che vive in strada e muore di fame. C’è così tanto amore nel cuore di ogni persona in ogni città di questo pianeta, ma c’è un pensiero positivo nelle teste di chi immagina queste città per i loro abitanti?

           


Si fa un gran parlare sull'impressionante crescita economica del Brasile. Credi che le cose miglioreranno? Che queste disuguaglianze scompariranno?

Questa domanda la devi fare ai nostri amministratori. Io ti posso dire che ogni giorno il 95% della nostra popolazione si sveglia e svende la sua vita per dare un minimo di dignità alla sua famiglia. Come possiamo immaginare di essere la sesta economia mondiale mentre le persone hanno ancora così tante necessità? La nostra gente è così meritevole, così di buon cuore, lavoratori instancabili che continuano a vivere così tante ingiustizie.

Prima ti facevi chiamare Criolo Doido. Criolo in portoghese è un dispregiativo usato per le persone di colore e Doido significa pazzo. Perché ti sei scelto questo nome?

La parola “pazzo” la vedo sotto un’accezione positiva, per me identifica qualcuno che prova ad essere diverso e cerca stili di vita alternativi. Credo che mi manca ancora molta strada prima di comprendere appieno questo aggettivo.

Parlami della canzone “Bogotà”. Non succede spesso che un cantante brasiliano si occupi di una città colombiana, cosa c’è dietro?

È una città di cui si parla ancora e soltanto sotto una luce negativa. Perché è così facile stigmatizzare certi luoghi? Ma la canzone non parla realmente di Bogotà. Ogni giorno, ovunque, si fa mercato di droga ed armi ed alla fine tutto ciò arriva fin dentro casa della gente, distruggendo le loro vite. Perché succede? Chi li ha fatti entrare? Quindi la canzone è un tributo alla gente per bene in una città che soffre. È facile andare in TV e accusare un bambino di otto anni che vende droga ma chi è che ci guadagna milioni e milioni? Diventiamo trafficanti di libri, arte, bellezza e amore. Di questo parlo.



Quel che dici è molto interessante perché ascoltando l’album non appare evidente che molte canzoni abbiano un messaggio politico così forte, sembrano piuttosto sottili allusioni. Era questa la tua intenzione?

Questo è il mio modo naturale di fare musica. Se pensassi solo ad accattivarmi la tua attenzione mentre faccio musica ciò che otterrei sarebbe una bugia e non meriterei che tu ascoltassi i miei dischi.

Come hai sviluppato questo interesse nelle tematiche sociali e nell'attivismo?

Quello che faccio io non è niente. Crescere nelle difficoltà di una favela lascerebbe il segno a chiunque. Da cui l’importanza della musica nella mia vita. Perché ti permette di elevarti, ti fa sentire forte. Ti sembra di essere qualcuno per il solo fatto che hai creato qualcosa. Questa è l’importanza dell’arte.

Pensi che la tua capacità di parlare dei mali del mondo da un palco possa cambiare le coscienze delle persone?

Ho fatto quello che sto facendo per ventitré anni, credo che la vera forza venga dagli scambi collettivi. Una persona sola non può cambiare il mondo. Un piccolo gesto può fare molto ma in grande scala c’è bisogno di uno sforzo collettivo. Devo ringraziare tutti i brasiliani di aver ascoltato e diffuso la mia musica, dandomi la forza e la possibilità di ritrovarmi dove sono oggi. Questa è stata, per esempio, una coscienza collettiva, tutte queste mani tese che ti aiutano e ti supportano lungo il cammino, quest’energia positiva che sgorga ad ogni momento. La vita è fatta di momenti, è ciclica, ma penso che la mia sia una voce collettiva, un’unica entità che fa il possibile pur di non tacere.

Il rap in Brasile è sempre stato un movimento underground. Pensi che oggi, col tuo successo e quello di altri artisti come Emicida per esempio, possa raggiungere una platea più vasta?

In effetti il rap è stato sempre molto presente in Brasile. Non tutti se ne sono accorti ma l’hip hop è un’energia universale, un’attitudine positiva. Ognuno crea le sue connessioni a partire da questo unico strumento e ne interpreta la sua individualità. Come ci si muove dentro, come cattura le realtà che lo circondano e come le elabora, sono cose che sgorgano dal suo cuore. Questo ci offre entrambi gli aspetti, quello individuale e quello collettivo, ognuno come unità individuale ma ognuna di queste unità che trae energia dalla forza collettiva. Quindi a mio avviso il rap è sempre stato forte e sempre lo sarà, perché scaturisce da un bisogno semplice: la ricerca dell’uguaglianza. Ovunque si manifesterà un’ingiustizia, un gesto positivo apparirà per contrastarla.

Oggi molti accusano il rap di essersi trasformato da arte di coscienza sociale in un genere materialistico e schiavo del capitalismo. Che ne pensi?

Ognuno ha la sua opinione. Ciò che fa piangere alcuni fa ridere altri. Ciò che facciamo, ciò che siamo, sta ad ognuno di noi.


Traduzione: Carlo Ligas (Articolo Originale)

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