venerdì 21 dicembre 2012

L'ultimo inverno, di Paul Harding


A Howard non era mai venuto in mente di parlare a George di suo padre. Pensava tra sé: Così stavano le cose: mio padre era sempre nella sua stanza al piano di sopra, seduto alla scrivania di noce incastrata sotto la grondaia, e componeva. Era lassù perfino quando cenavamo, e quando facevo i compiti. A volte faceva commenti e diceva: Che strano, sono qui a mangiare piselli ma sono anche di sopra, a scrivere il mio sermone.
Non dicevamo nulla, ma un brivido mi correva lungo la schiena al pensiero di alzarmi da tavola, alla sinistra di mio padre, percorrere il corridoio stretto e nudo e inerpicarmi per le scale ancor più strette, l’unico modo per salire al piano superiore e affacciarmi nello studio, dove avrei visto mio padre chino sul suo lavoro.
A volte trascorrevo l’intera cena immaginandomi ripetere all’infinito lo stesso percorso, tra mio padre alla sua scrivania e mio padre a tavola, stupefatto dalla sua capacità di essere in due posti nello stesso istante, mentre io dovevo sceglierne sempre uno e uno solo. Mio padre era un uomo strano e gentile.

(L'ultimo inverno, Paul Harding - Ed. Neri Pozza 2011)



Paul Harding racconta la sua storia a Mario De Santis a Soul Food su Radio Capital: Qui
Paul Harding (1967), scrittore e musicista americano.Vive dalle parti di Boston.
Paul Harding, "L’ultimo inverno", Neri Pozza, 2011.Traduzione di Luca Briasco. Titolo originale: "Tinkers".

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