mercoledì 21 marzo 2012

Unisci i puntini - Elementi pop di storia # 01 Maus, di Art Spiegelman



Elementi pop di storia #01 - Maus, di Art Spiegelman

Ho l'impressione che sull'immaginario popolare intorno al fumetto, aleggi l'insensata e tacita convinzione che il graphic novel sia un'espressione artistica di secondo livello, non una possibile terra di mezzo tra letteratura e cinema, non una importante risorsa creativa e didattica, ma una semplice (a volte più intensa, a volte più arty) distrazione ludica.
Eppure quando si tratta di un lavoro di talento, di grandissimo spessore, dove sia il materiale letterario che quello illustrativo sono a livelli altissimi (Come in Will Eisner, Art Spiegelman, Joe Sacco, Gipi, Hugo Pratt, Alan Moore, Moebius, Andrea Pazienza ecc. ecc.) , il fumetto può diventare come un fiume in piena che straripa, inonda la nostra coscienza e muta la nostra geografia. Come dice Goffredo Fofi: "In principio era Maus: il fumetto dimostra di poter essere storia orale e riflessione antropologica: di poter affrontare argomenti gravi e gravissimi; di poter competere con romanzi e film, apparendo persino più profondo e necessario, più fortemente evocativo e riflessivo. Oggi non c'è campo del sapere con il quale il graphic novel non abbia voluto cimentarsi (fino alla rappresentazione visiva del nascosto e dell'inespresso) o genere letterario o cinematografico di cui non abbia cercato di riprendere la tradizione adattandola al suo specifico, a volte con molta maggior libertà della letteratura. "
Maus (Maus: A Survivor's Tale) è un graphic novel di Art Spiegelman, ambientato durante la seconda guerra mondiale ed incentrato sulla tragedia dell'Olocausto, sulla base dei racconti del padre dell'autore, un sopravvissuto ad Auschwitz.

(Luca Tanchis)

Intervista a Spiegelman: "Fumetti per ragazzi, perché imparino la storia contro i nuovi Bush"

Quattro volte la faccia di Einstein Albert (che prima è grigia e poi si colora, che da sorridente s’incupisce) alla parete racconta il lavoro meticoloso di un artista, di un disegnatore, di un romanziere, le variazioni di un umore, di una sensibilità, una ricerca d’espressione, le approssimazioni. 
Art Spiegelman, americano, nato a Stoccolma, cresciuto nei Queens, figlio di ebrei, è stato definito l’inventore della Graphic Novel, del grande romanzo a fumetti, ma lui chiede subito l’esame del dna: non se la sente, forse, di attribuirsi il merito da solo, spiega che in fondo si tratta di un fumetto dietro l’altro anche se la storia è tutta in testa, mentre ci accompagna lungo i muri tutt’attorno della Galleria Nuages di Milano (in via del Lauro), che da oggi ospita una sua mostra (già vista a Parigi, alla Galerie Martel, di Rina Zavaagli moglie di Mattotti, altro maestro italiano amico di Spiegelman). Certo, dopo di lui, dopo il capolavoro Maus, il “romanzo grafico”, il “romanzo a fumetti” sono diventati prove di molti, esercizio visto e rivisto e talvolta con ammirazione (malgrado, spesso, ripetesse l’orrore della guerra). In galleria, sul tavolo, Baci da New York, introduzione di Paul Auster. In Italia è stato pubblicato dalla stessa Nuages.
Racconta per immagini dieci anni di storia: la storia del tormentato amore tra Spiegelman e la più famosa rivista Usa, The New Yorker. Anche gli amori più esaltanti possono finire e, come è noto, un bel giorno Spiegelman decise che era il momento di finirla: si tenne la moglie, Francoise Mouly, suo art director proprio al New Yorker, mollò il giornale, come in genere si fa con le macchine. Divergenze politiche, artistiche, soprattutto gran voglia di libertà, che si può ancora difendere anche se costa parecchio: «Non mi piacciono direttori sopra la testa...». I buoni matrimoni si lascian alle spalle cose buone: non solo lacrime. Vedi certe copertine, certi disegni, ironici, grotteschi, violenti, mai consenzienti, mai consolatori: il poliziotto ridente che spara con l’arma d’ordinanza al baracchino del tiro a segno (le armi e l’America), la frequentatrice inesausta delle mostre di successo, i beati contemplatori del fungo atomico dalle terrazze festanti della Grande Mela, la fucilazione “al sesso” di Clinton. C’è della gran pittura oltre l’invenzione grafica e narrativa («Io sono un grafico - insiste Spiegelman»). Una tavola colpisce per la faccia stordita, al solito, di Bush con le orecchie a sventola e sopra la scritta «Emergency Session of the United Cartoon Workers of America».

Art Spiegelman, l’autore di una delle più belle storie sull’Olocausto, Maus, quella che la rese celebre anche da noi, quasi venti anni fa ormai (ma fu per lui un lavoro lunghissimo, interminabile) teme sempre il peggio e teme che i casi si possano ripetere. E i lavoratori del fumetto che possono fare?

«A un certo punto abbiamo pensato che si dovessero realizzare storie per gli adulti, per sottrarre il fumetto ad una sorta di marginalità. E fu la festa della creatività, mille idee. Eravamo un gruppo di artisti e pensavamo a grandi progetti. Fu così che nacque Raw Magazine. Adesso s’è capito che i fumetti li si dovrebbe riservare ai ragazzi, perchè tornino finalmente a leggere e soprattutto a riflettere. Altrimenti ci risiamo con Bush o con un altro Bush...».

Ma non bastano le tante forme di comunicazione che ci ritroviamo attorno?

«Ci regalano immagini. Diciamo: l’immagine di Obama che ci spiega che cosa sarà la sua riforma sanitaria. Ma bisogna stare attenti, scrutare alle spalle di Obama, per capire se rispuntano le case farmaceutiche».

Un bel paradosso:siamo sommersi da mail, email, sms, mms, eccetera eccetera eccetera, per non capire nulla?

«Adesso sembra che si proceda così: pit, pit, pit, ooh, pit, pit pit, ooh, ooh. Un tasto che batte dopo l’altro e ogni tanto a bocca aperta per la meraviglia...Chissà che cosa avremo mai visto. Il fumetto è riflessione, osservazione, somma di pensieri e di fatti, addirittura compressione di pensieri e di fatti. È il problema che si sono posti persino gli amanuensi di fronte ai caratteri mobili di Gutenberg: qualcosa di meccanico, di ripetibile all’infinito prendeva il posto della scrittura, che è fisica, che è fatica, che è costruzione lenta».

Come le tavole del fumetto. Un tentativo sull’altro per raggiungere la forza narrativa, cercando non solo le parole, non solo i segni, anche lo spazio giusto. Spiegelman fuma una sigaretta dopo l’altra. All’obiezione che il fumo fa male ha già risposto:

«Senza sigarette non avrei mai scritto Maus».

Che è appunto il suo capolavoro. Storia della Shoah, degli ebrei topi perseguitati dai gatti nazisti, qualche volta aiutati, qualche volta traditi dai tedeschi maiali, storia ricostruita attraverso la vicenda del padre, vittima con la madre, vittima in eterno, della persecuzione. Un libro da leggere e da rileggere, da guardare e riguardare: non è questione di “stile” (e Spiegelman rifiuta sempre le questioni di “stile”), ma è per la sottigliezza tenace dello sguardo che ricostruisce i mille fronti e i mille rivoli della tragedia e che moltiplica le responsabilità.

È già stato chiesto mille volte: perché il topo a rappresentare l’ebreo? Quel muso a punta, quasi un triangolo, che nella morte si rovescia e si sovrappone a disegnare la stella di David. Il topo la perseguita?

«È da una vita che mi sento inseguito da una gigantesco topo».

Potrebbe essere finita così?

«No, perchè ci sono altri mille pensieri, mille disegni, mille topi, che potrebbero popolare un altro volume. Chissà. Prima o poi nascerà...Mi sento il beneficiario e insieme il custode di Maus. In fondo mi hanno chiesto in tanti di provare a creare Maus terzo, Maus quarto...».

Non ci sarà la vendetta. Cercherà altre strade, altri contenuti?

«Se uno fa una cosa una volta passa per inventore, se prova a ripetersi rischia di passare per pazzo. Poi tutto può accedere: se un lavoro corto, che adesso mi piace, diventa lunghissimo, perchè si esplorano altre strade, perchè si racconta di più, perchè si cerca magari il movimento, va bene».

Crede in Obama?

«L’ho votato con entusiasmo. Prima o poi dovrà deludere».

Per ora, malgrado le crisi, l’America è tranquilla, però.

«È come se si godesse il grasso di riserva».

Che cosa insegue quando racconta?

«La chiarezza. Quando si guarda un quadro di Goya, poi si esclama: ecco, ho visto anch’io come lui».

Per disegnare Maus, s’è ispirato a materiale iconografico?

«Ai disegni dei deportati: hanno avuto il privilegio di esserci davvero».



Maus, di Art Spiegelman, Ed. Einaudi, 2010
(Intervista di Oreste Pivetta, Settembre 2009)

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