lunedì 13 giugno 2011

Edna O'Brien - Chiacchere di bottega con Philip Roth

               


ROTH: Nella mia prefazione al tuo libro "Un cuore fanatico" cito quello che Frank Tuohy, in un saggio su James Joyce, ha scritto su voi due: che mentre Joyce, in Gente di Dublino e in Ritratto dell’artista da giovane, è stato il primo irlandese cattolico a dare testimonianza delle proprie esperienze e del proprio ambiente, «il mondo di Nora Barnacle [l’ex cameriera divenuta moglie di Joyce] ha dovuto attendere le opere di Edna O’Brien». Quanto è stato importante per te Joyce? Un tuo racconto come “Tough Men”, che racconta il raggiro dì un bottegaio trafficone da parte di un truffatore itinerante, sembra uscito da una sorta di Gente di Dublino rurale, e tuttavia a quanto pare hai preferito non raccogliere la sfida delle sperimentazioni linguistiche e mitiche di Joyce. Che cosa ha significato Joyce per te? Che cosa hai tratto o appreso da lui? E quanto è intimorente per uno scrittore irlandese avere come precursore questo gigante della parola che ha ruminato tutto ciò che di irlandese aveva a disposizione? 

O’BRIEN: Nella costellazione dei geni, Joyce è una luce accecante e il padre di tutti noi. (Escludo Shakespeare perché per Shakespeare nessun epiteto umano è sufficiente). Quando ho letto Joyce per la prima volta, si trattava di un libretto a cura di T. S. Eliot comprato di seconda mano al porto di Dublino per quattro pence. Prima di allora avevo letto pochissimi libri, per lo più lacrimosi e improbabili. Ero un’apprendista farmaceutica che sognava di scrivere. Ed ecco I morti, e una sezione del Ritratto dell’artista da giovane, che mi colpirono non solo per l’incanto dello stile, ma anche perché erano cosi fedeli alla vita, erano la vita. Poi, un bel po’ di tempo dopo, ho letto l’Ulisse, ma da ragazza non ce l’ho fatta, era davvero troppo per me, troppo inaccessibile e troppo maschile, con l’eccezione della celebre parte di Molly Bloom. Ora considero l’Ulisse il libro più divertente, brillante e complesso, e meno noioso, che abbia mai letto. In qualunque momento posso prenderlo e leggere a caso qualche pagina, e mi sento come se avessi avuto una trasfusione di intelligenza. Quanto al suo essere intimorente, il confronto non è neanche in questione. Semplicemente, Joyce è oltre, al di là di tutti noi, «le lontane Azzorre», come avrebbe detto lui. 

ROTH: Torniamo al mondo di Nora Barnacle, alla visione del mondo delle Non Barnacle, quelle che restano in Irlanda e quelle che si danno alla fuga. Al centro di praticamente tutte le tue storie c’è una donna, per lo più una donna sola, che combatte l’isolamento e la solitudine, o cerca l’amore, o fa marcia indietro dopo essersi fortunosamente avventurata fra gli uomini. Ho l’impressione che tu scriva di donne senza un briciolo di ideologia, senza alcuna preoccupazione di sostenere la posizione corretta. 

O’BRIEN: La posizione corretta è scrivere la verità, scrivere quello che si sente senza badate ad alcuna considerazione pubblica e ad alcuna cricca. Io credo che un’artista non debba mai sostenere una posizione, né 
per opportunismo né per risentimento. Gli artisti detestano e diffidano delle posizioni perché sanno che nel momento in cui si sostiene una particolare posizione si diventa qualcos’altro: un giornalista, o un politico. Quello di cui sono alla ricerca è un pizzico di magia, perciò non intendo scrivere pamphlet o leggerli. Ho ritratto donne in situazioni di solitudine, disperazione e spesso umiliazione, molto spesso zimbello degli uomini e quasi sempre alla ricerca di una catarsi emotiva che non arriva. Questo è il mio territorio, che conosco grazie a una dura esperienza. Se vuoi sapere qual è per me il punto cruciale della disperazione femminile, eccolo: 
nel mito greco di Edipo e nella riflessione di Freud su di esso, il desiderio del figlio per la madre è contemplato; anche la bambina desidera la madre, ma è impensabile, tanto nel mito, nella fantasia, quanto nella realtà, che questo desiderio possa essere consumato. 

ROTH: Tuttavia non puoi non tenere in considerazione i mutamenti di «coscienza» che si dice siano stati prodotti dal movimento femminista. 

O’BRIEN: Si, certe cose cono cambiate in meglio — le donne non sono un oggetto di proprietà, esprimono il proprio diritto a guadagnare quanto gli uomini, a essere rispettate, a non essere il «secondo sesso» ma nelle questioni sentimentali le cose non sono cambiate. L’attrazione e l’amore sessuale non nascono dalla coscienza, ma dall’istinto e dalla passione, e in questo uomini e donne sono radicalmente differenti. L’uomo ha ancora la maggiore autorità e la maggiore autonomia. E' biologico. Il destino della donna è ricevere lo sperma e trattenerlo, mentre quello dell’uomo è darlo, e nel darlo l’uomo consuma la propria energia, e di conseguenza poi si ritira. Mentre lei è in un certo senso nutrita, lui è all’opposto prosciugato, e per riprendersi ha bisogno di una fuga temporanea. Di conseguenza si ha il risentimento da parte della donna per essere stata abbandonata, anche se per poco; e da parte dì lui il senso di colpa per essersene andato; e soprattutto il senso di autodifesa necessario a ritrovarsi per potersi riaffermare. Perciò la vicinanza è sempre solo relativa. Un uomo può dare una mano con i piatti, e così via, ma il suo coinvolgimento è più ambiguo, e il suo sguardo più errabondo. 

ROTH: E non ci sono donne altrettanto promiscue? 

O’BRIEN A volte anche le donne lo sono, ma senza provare lo stesso senso di appagamento. Una donna, oserei dire, è capace di un amore più profondo e più duraturo. Aggiungerei anche che una donna ha più paura di essere lasciata. Questo vale ancora oggi. Entra in un qualunque negozio di abbigliamento, parrucchiere, palestra o mensa femminile e vedrai una quantità enorme di disperazione e competizione. La gente ha in bocca un sacco di slogan, ma sono solo slogan. Ciò che conta è quello che sentiamo e quello che facciamo. Le donne non sono più forti emotivamente di quanto siano mai state in precedenza. Semplicemente sono più consapevoli delle proprie emozioni. L’unica vera sicurezza sarebbe volgere le spalle agli uomini, staccarsene, ma questa sarebbe una piccola morte, almeno per quanto mi riguarda. 

ROTH: Perché scrivi cosi tante storie d’amore? E’ a causa dell’importanza del tema o perché, come molti altri nella nostra professione, quando sei cresciuta, hai lasciato la famiglia e hai scelto la solitaria vita dello scrittore, inevitabilmente quella dell’amore sessuale è diventata la sfera di esperienza più forte a cui continui ad avere accesso? 

O’BRIEN Prima di tutto credo che per me il fervore amoroso abbia rimpiazzato quello religioso. Quando ho cominciato a ricercare l’amore terreno (cioè il sesso), ho sentito che mi stavo allontanando da Dio. Rivestendosi del manto della religione, il sesso ha assunto proporzioni smisurate. E’ diventato l’aspetto centrale nella mia vita, uno scopo in sé. Sono stata molto vulnerabile alla sindrome Heathcliff /Mr. Rochester, e lo sono ancora. L’eccitazione sessuale è stata per molti versi legata al dolore e alla separazione. La vita sessuale è centrale per me, come credo per chiunque altro. Il sesso richiede un sacco di tempo, sia il pensarci sia il farlo, anche se spesso è il pensarci ad avere il posto d’onore. Per me è soprattutto un ambito recondito, che contiene elementi di mistero e di razzia. La mia vita quotidiana e la mia vita sessuale non sono un’unica cosa, sono separate. Parte della mia eredità irlandese!

ROTH: Qual è l’aspetto più difficile nell’essere una donna che scrive? In quanto donna incontri difficoltà che io come uomo non ho? E immagini che io abbia difficoltà che tu non hai? 

O’BRIEN: Credo che sia differente essere un uomo ed essere una donna, molto differente. Credo che in quanto uomo tu abbia dietro le quinte della vita un intero corteggio di donne che ti aspettano: potenziali mogli, amanti, muse, infermiere. Le donne scrittrici non hanno questo vantaggio. Gli esempi sono numerosi: le sorelle Brònte, Jane Austen, Carson McCullers, Flannery O’Connor, Emily Dickinson, Marina Cvetaeva. Mi pare che sia stato Dashiell Hammett a dire che non avrebbe voluto vivere con una donna che avesse più problemi di lui. Credo che i segnali che gli uomini ricevono da me li allarmino. 

ROTH: Dovresti trovare un Leonard Woolf. 

O’BRIEN: Non voglio un Leonard Woolf. Voglio Lord Byron e Leonard Woolf mescolati insieme.



(Intervista tratta da "Chiacchere di bottega - Uno scrittore, i suoi colleghi e il loro lavoro", di Philip Roth. Einaudi 2004)

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