Che cos'è?, chiede il bimbo alla mamma, indicando la bandiera
sopra il portone della scuola materna dove lei lo sta
accompagnando. È la bandiera italiana, gli risponde la madre
in tono neutro, appena un po' didattico: bianca, rossa e blu.
Vengo svegliata alle 9 in punto dal telefono e dalla voce di una
donna che con forte accento meridionale mi chiede di attendere
un attimo. Dal ricevitore comincia a diffondersi una musica
rock che dura più di un minuto. Torna poi la voce della donna
che dice: se sa il titolo della canzone le regalo un milione.
Mi scuso perché non la conosco e cerco di giustificarmi dicendo
che non seguo più da anni questo tipo di musica.
Ho tentato insomma di rispondere con delle parole educate,
ragionevoli, perché dal tono di voce della donna non poteva
essermi venuto in mente che si trattasse di uno scherzo.
Ho pensato piuttosto a un caso di analfabetismo visivo. Le
puntate di Indietro Tutta sono terminate da poco più di una
settimana e il mio sospetto era che la donna non avesse potuto
capirne l'ironia. Ho pensato a una solitudine mostruosa.
Al deserto.
Passando davanti al chiosco di Piazza Aquileia, sento la fioraia
che spiega a una signora: le roselline si vendono a mazzetti da
dieci altrimenti da sole non dicono niente. Proseguo
ripetendomi in silenzio: appunto, ne vorrei una che stesse zitta.
L'insegnante G.E. che è appena tornata da una gita a Parigi
con i suoi alunni, mi dice che questa volta la cosa che le è
piaciuta di più è stata la Torre Eiffel. Le è sembrata una
giraffa.
Nella sala d'attesa del reparto oculistico dell'ospedale S.
Raffaele, sento una ragazza che dice al medico che ora suo
fratello sta meglio. Tuttavia, dopo l'incidente in cui gli erano
entrate delle gocce di candeggina nell'occhio, continua a vedere
i colori un po' sbiaditi.
Appaiono sui muri di Milano labbroni in volo, scontornati e
fortemente imburrati di rossetto con sotto un'automobilina e la
scritta: Polo. Baciata dal successo.
Penso al povero Man Ray. Poi però mi diverte attribuire la
pubblicità al mio Ego di prima-della-cura, al mio Ego
narcisistico desideroso di successo. Beh, non proprio di
successo (non ero così illusa da credere che ai giorni nostri
esistesse il successo in poesia), ma certo il mio Ego cercava un
po' di riconoscimento, questo sì e non ci sono dubbi. Che
galera è stata quella, mi confesso dopo aver superato il manifesto,
ora che il distacco e il tempo (sono passati 3 anni),
mi permettono di vedere la trappola nella quale mi ero andata a
cacciare.
Ma, sputato il rospo, e giusto che aggiunga qua un'altra
osservazione, più sottile.
Il riconoscimento che il mio Ego desiderava, non riguardava me
in toto, non l'immagine di me che appare, non Giulia Niccolai
poetessa di 53 anni.
Solo una parte di me, nel profondo e in silenzio, esigeva questo
tipo di risarcimento per nostalgia della devozione e della
gratitudine che avevo provato adolescente verso certi poeti e
scrittori. Per la qualità, la pienezza di quella stima che mi
rendevano forte, invulnerabile e che sono andate perdute per
tutti.
Non credo infatti che alcun giovane le possa più provare oggi
per un letterato. Il mondo è meno ingenuo ed è così cambiato.
Ho il sospetto, il continuo sospetto di sfiorare una verità
importante quando mi dico che la rivoluzione è nostalgia. E ho
la certezza che anche la scrittura lo sia...
Per quanto questa asserzione possa rendermi impopolare, per
quanto possa venire presa per masochismo o altro, per quanto
Lucifero sia abile nel cambiare le carte in tavola, lo dico lo
stesso: il dolore è luce. (Ne so qualcosa perchè anagrammando
il nome Giulia Niccolai si ottiene: gioia luci lanci).
Il dolore è luce perché ci costringe a vedere ciò che facciamo di
tutto per evitare: il dolore...
Ogni tanto mi tornano alla mente certe espressioni che udivo
bambina e che ormai sono cadute in disuso. Quando penso a:
e buonanotte al secchio! mi viene da sorridere e mi figuro la
scena. Un uomo o una donna tirano su dal pozzo un secchio
pieno d'acqua. La catena o la corda si spezza o
inavvertitamente qualcuno fa cadere il secchio dopo che è stato
issato sul bordo.
Essendo pieno, il secchio non galleggia, affonda, finisce sul
fondo del pozzo dove è sempre buio, dove è notte e dove
nessuno potrà più ripescarlo.
Bello è pensare che la luna si riflette anche nel pozzo.
Ho messo insieme questi frisbees spulciando a ritroso tra gli
appunti dell'agenda di quest'anno. A ritroso, in omaggio o in
conformità al breve testo sulla rivoluzione, la scrittura e la
nostalgia.
Volendo si potrebbe dunque cominciare a leggerli da qui, da
nostalgia, per finire a Che cos'è?.
🔵🔵🔵
Giulia Niccolai (Milano, 21 dicembre 1934) è una poetessa, scrittrice e traduttrice italiana.
Di madre statunitense e padre italiano, frequenta giovanissima gli intellettuali del Bar Jamaica e si lega al Gruppo 63. Nel 1966 pubblica da Feltrinelli il suo primo romanzo: Il grande angolo con prefazione di Giorgio Manganelli.
A lungo legata sentimentalmente ad Adriano Spatola, nel 1972 fonda con lui, a Mulino di Bazzano, nell'Appennino Parmense, la rivista di poesia Tam Tam e l'omonima collana di poesia sperimentale. Si occupa di poesia concreta, poesia visuale, poesia sonora. Pratica il nonsense nella raccolta Greenwich. Successivamente si dedica alla poesia lineare.
Partecipa a numerose esposizioni di poesia visuale e nel 1979 cura con Adriano Spatola la rassegna Concreto & Visuale all'Università di Sydney e alla National Gallery di Melbourne, nello stesso anno entra a far parte del gruppo di poesia sonora Dolce Stil Suono, con Adriano e Tiziano Spatola, Sergio Cena, Agostino Contò, Arrigo Lora Totino, Giovanni Fontana, Milli Graffi.
Il volume Harry's Bar e altre poesie (1969-1980), pubblicato dall'editore Feltrinelli nel 1981, raccoglie i testi sperimentali già pubblicati dalle edizioni Geiger e la raccolta Prima e dopo la Stein.
Dopo la separazione da Adriano Spatola, vive a lungo in India, dove si raccoglie in meditazione e abbraccia il buddismo, divenendo monaca buddista nel 1990.
Traduce autori di lingua inglese, tra i quali Gertrude Stein, Virginia Woolf, Patricia Highsmith, Dylan Thomas.
La fine della relazione fra Spatola e la Niccolai è narrata nella canzone Scirocco di Francesco Guccini.
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