Primo fax
aereo, 10/1/1997
Cara Ethel,
in questo momento stiamo sorvolando la Germania; poi sarà la Polonia, la Russia, la Siberia, il Mar del Giappone e finalmente Tokyo. È la prima volta che un viaggio mi fa tanto effetto: la lista di luoghi che ti ho appena elencato mi sconvolge quanto altrettanti miti. Se mi apprestassi ad attraversarli su una slitta trainata da una muta di cani, non sarei più emozionato. Di solito, i viaggi in aereo sono per me formalità noiose e astratte: oggi, sento anima e corpo la realtà di questo volo, e ciò mi dà le vertigini. Deve essere l’idea della tua sofferenza a sprofondarmi in questo stato di iperestesia. Per solidarietà con il tuo spirito, il mio ha perduto le sue difese immunitarie. Mi hai detto che sono tuo fratello: non sai fino a che punto sia vero. Non faccio che pensarti. Avrei voluto non partire e restarti vicino; hai deciso diversamente. Così lancio le mie parole al tuo inseguimento. Per quanto riguarda me, è di un’efficacia spaventosa: basta che ti scriva per sentire la tua presenza. La mia stilografica ti evoca ed eccoti qui. Mi chiedo come facciano i prestigiatori a stupire la gente: cosa sono i loro giochi di prestigio a confronto dell’irrefutabile magia della scrittura?
E per te? Funziona? Lo senti che sei con me? Se ancora non è così, lo sarà tra una dozzina di ore, ammesso che l’aereo non vada a schiantarsi da qualche parte. La hostess ha distribuito i vassoi del pranzo: nel menu, tanto per fare una cosa nuova, c’era cartone in salsa di cartone.
Non l’ho toccato. Intorno a me, le persone divorano ingordamente quella roba. Hanno l’aria di trovarla uno schifo. Lo credo bene, lo è. Ma allora perché mangiano quella schifezza? Non capisco come ragioni questo genere di individui, e penso che tu e io non ne facciamo parte. Noi siamo della razza di coloro che vogliono il meglio e rifiutano il resto: abbiamo probabilmente poche possibilità di ottenere ciò che desideriamo.Ma questo nulla cambia al nostro desiderio. Aspiriamo al sublime e tanto peggio per quelli che ci trovano idioti.Tu aspiri al sublime attraverso il tuo amore, e Xavier trova che sia una stupidaggine: lo vedi quale abisso ti separa da lui? È fiero di avere i piedi nel fango; lui è della razza di quelli che mangiano il pranzo precotto per la semplice ragione che è commestibile, che è solido, che ne hanno diritto e che bisognerebbe essere fessi per non prendere ciò cui si ha diritto. Capisci dove voglio arrivare? È per questo che Xavier ti ha presa: perché eri commestibile, perché ti offrivi, perché tanto gli bastava per credersi degno di te, perché bisognerebbe essere fessi per non prendere ciò che si offre. Non ti paragono neppure un istante a questo cibo insipido, è lui che associo a quei divoratori ripugnanti. So di ferirti. Non è questo il mio intento; per parlare come il bruto che non sono, ti faccio del male, ma è per il tuo bene. Mi angoscio all’idea che tu possa cambiare parere. Sei dolce e incline alla compassione, basterebbe che Xavier ti lanciasse un’occhiata languida e tu lo perdoneresti.
Ethel, preferirei mille volte dirti cose gentili. Sento però che hai soprattutto bisogno di essere scossa. Il colmo sarebbe che tu soffrissi senza arrivare a nulla. Se non rompi, allora il tuo dolore sarà stato sterile. In questo momento, sei l’eroinomane che ha deciso di smettere di bucarsi. I primi giorni sono atroci, soffri come una disperata. Se tieni duro ne uscirai, se non liberata, almeno fortificata contro la droga. Se molli, avrai vissuto l’inferno per niente. La mia metafora non è gratuita; quel tipo è uno stupefacente. La prima volta ti ha procurato un piacere folgorante che in seguito ha continuato a diminuire, fino a scomparire. Credi di amarlo e invece provi per lui solo una dipendenza. È un sentimento miserabile, a immagine di colui che lo ispira. Sì, lo so, ti ho parlato bene di lui negli ultimi giorni: mi sbagliavo. Sai meglio di me quanto è seduttore. Pure io mi sono lasciato prendere dal suo gioco, anche perché con me si era lanciato in una vera e propria campagna di conquista. Ero lusingato.
Alla prima, ci ha mostrato il suo vero volto. Hai notato quanto la sua qualità più incontestabile si fosse offuscata? Non era più neanche bello, ma solo comune e volgare. Un grugno da piccolo borghese scontento perché il programma della televisione non gli piaceva. Mi sono interrotto un lungo istante per guardare fuori dall’oblò: non c’era niente da vedere e questo era interessante. Nulla di cui meravigliarsi, sorvoliamo la Polonia. Alfred Jarry scrisse questa didascalia per Ubu: “La storia si svolge in Polonia, cioè in nessun luogo.” Come mi piacerebbe vivere in Polonia! In aereo stanno proiettando un film americano. Non so cosa sia (non voglio saperlo), vedo soltanto che l’attrice principale, insulsa come un piatto di pasta scotta, indossa un vestito di kleenex. Non mento: è un tessuto che ha la consistenza e il colore rosato del kleenex. Viene voglia di soffiarcisi il naso dentro. Me ne intendo, da quando sono nella moda. Non ha l’aria, però, di essere un film comico. Sembrerebbe una storia d’amore. Anche senza cuffie, è disgustoso. Eppure, intorno a me, la gente si è messa le cuffie e si è tuffata in questo capolavoro cinematografico. Nessuno ha l’aria entusiasta, e lo credo bene. Ciò non toglie che guardino. È la versione spettacolo del pranzo precotto. Sono sicuro che Xavier farebbe come loro. Il tropismo evanescente non era abbastanza bello per lui, ma il piatto di pasta scotta vestito di kleenex se lo sarebbe fatto fuori tutto. Ora ti lascio riprendere fiato. Mi sono portato dietro la Critica della ragion pura. Capirai bene che ardo dalla voglia di rileggerlo. Sinceramente tuo,
Epiphane
(Non mi ero portato la Critica della ragion pura. Avevo bisogno di rileggermi e di riflettere. Il nulla, dal finestrino, era invitante. Mi sentivo il contrario del paesaggio: denso come un uovo. Squisita pienezza dello strazio amoroso, che prendevo per sofferenza, quando avrei dovuto godere della tensione che mi animava.
In verità, non fui capace di alcuna riflessione: ci vuole un minimo di vuoto in sé per riuscire a traslocare le idee e a trovar loro un buon posto. Ero troppo pieno.
Ignoro quante ore sono rimasto sprofondato in questo pantano interiore. La scrittura dunque non serviva solo a mettermi in presenza di Ethel, ma anche a mettermi in presenza di me stesso.)
Scrissi un altro fax.
aereo, 10/1/1997
Cara Ethel,
ho finito la Critica della ragion pura. Un buon libro, te lo consiglio. Non ti stupire della mia strana calligrafia, non guardo quello che scrivo: ho gli occhi incollati all’oblò. Sorvoliamo la Siberia da più di un’ora e non sono riuscito a vedere nulla. Intendiamoci bene, non ha niente a che fare con il nulla polacco. Qui non è il nulla: c’è un mondo al di sotto dell’aereo, ma c’è da giurare che l’uomo non ci abbia mai messo piede.
Invano cercheresti qualcosa che somigli a una strada, a una casa o anche a un sentiero. Null’altro che colline boscose e innevate, a perdita d’occhio. Però, a sentire SolzŠenicyn e compagni, degli esseri umani ci sono stati. I gulag erano sotto terra? Oppure è la neve che dissimula la traccia dell’uomo. No, è impossibile; ho sorvolato la Polonia e la Russia, anch’esse coperte di neve, e strade e abitazioni si distinguevano ancora meglio. A maggior ragione visto che siamo al 10 gennaio: il candido mantello non è caduto ieri. Qui, invece, ha proprio l’aria di essere vergine. È incredibile. Osservo la posizione dell’apparecchio sullo schermo: l’enorme Siberia è appena all’inizio, ne abbiamo per cinque ore almeno. Ricomincerò a scriverti appena avvisto una parvenza di civiltà.
Un’ora dopo: sempre il nulla. Mi sembra che avrei dovuto se non altro vedere qualche rotaia: dov’è la famosa Transiberiana? In fondo, questa situazione mi incanta; i critici hanno dato del contaballe a Cendrars: per loro La prosa della transiberiana sarebbe un puro fantasma di adolescente, perché la fuga verso est non avrebbe mai avuto luogo. Posso controbattere: è evidente, cari imbecilli occhialuti, che Cendrars non ha mai viaggiato sulla Transiberiana! Lo credo bene, quel treno non esiste. Invece di dare del bugiardo al poeta, non sarebbe meglio ammirarlo per aver scritto uno dei più bei testi del mondo, dedicato a una linea ferroviaria inesistente?
A forza di guardare dall’oblò, finisco per sentirmi Cendrars in fuga dall’Europa con una ragazza in mente: lui con una puttana sifilitica che chiama la piccola Jehanne di Francia, io con te. All’inizio della poesia, si ha l’impressione che lei lo accompagni davvero. A poco a poco, si capisce che lei è un’idea. Anche tu, che non hai niente della puttana sifilitica, mi accompagni con il pensiero – e questa evocazione è così forte che, talvolta, ci sei sul serio.
Un’ora dopo: sempre il nulla. Quante migliaia di chilometri ho sorvolato senza vedere la minima traccia umana? Io che ho l’angoscia della sovrappopolazione planetaria, non posso che rallegrarmi di un tale spettacolo. Il paesaggio è di una monotonia stupefacente; le colline regolarmente spopolate sono la visione più confortante del mondo. C’è di che ritrovare la propria fede nell’Apocalisse: quanto ci ignora la Terra! Come sarà nobile e calma quando noi saremo scomparsi!
Un’ora dopo: sempre il nulla. Vincerò la scommessa. Se i miei ricordi scolastici sono esatti, il fiume Amour dovrebbe scorrere da queste parti. Tutto questo è pieno di senso: l’Amour non ha scelto come letto una regione sovrappopolata come il Bangladesh o il Belgio, ha eletto il territorio meno frequentato. L’Amour non ha scelto come letto una zona calda o temperata, si diletta là dove i ghiacci hanno reso la vita se non impossibile, quanto meno difficile e faticosa. Tra i paesi freddi, ha optato per il meno ospitale, di modo che la sua neve resti vergine. Quando si dice “Siberia” nessuno ha voglia di sorridere, è una parola che evoca prigionia e morte. La gente normale non ha voglia di esplorare la Siberia: bisogna essere matti per voler andare a vedere dove scorre il fiume Amour.
E poi, non è significativo che l’Amour sia un fiume, e non una montagna, una palude, una pianura o un altopiano? Il fiume non è, per eccellenza, ciò che scorre, ciò che non cessa di fluttuare? L’amore non è il sentimento più eracliteo che esista? Non ci si bagna mai due volte nello stesso amore. Il fiume è ciò che collega la terra al mare, lo stabile all’instabile, il noto all’ignoto. Il fiume è ciò che raccoglie i ruscelli dei dintorni, così come l’amore collega tra loro le inclinazioni di portata inferiore per formare un fiotto torrenziale. Il fiume è ciò che di volta in volta è calmo e navigabile e poi precipita nella cascata, o meglio, nella caduta.
L’analogia più sorprendente è che il fiume è inesauribile. In periodi di siccità, si impoverisce e dà quasi l’impressione di essere scomparso: c’è sempre, però. Comprendo gli antichi che avevano deificato i fiumi, da bambino restavo incantato di fronte alla loro facoltà di ricrearsi all’infinito. Mi chiedevo da dove venisse tutta quell’acqua e dove avesse l’intenzione di andare: il mare non avrebbe finito per traboccare? Sono rimasto molto male quando ho saputo della condensazione, della falda freatica e delle altre spiegazioni di quel mistero. C’è anche gente che ti spiega l’amore a botte di ormoni e di istinto di riproduzione.
Dovrei smetterla di parlarti d’amore: nel tuo stato, forse non è la cosa migliore.
D’altronde, che te ne frega se la Siberia esiste?
Un’ora dopo: Thalassa! Thalassa! Vedo il mare del Giappone. Ma quel che mi sembra cento volte più straordinario è che ho visto una strada: una stupidissima strada dritta che porta a una specie di hangar vicino alla costa. È la prima traccia umana che vedo da migliaia e migliaia di chilometri. Non hai idea dell’effetto che fa.
Quaranta minuti dopo: terra! Ecco l’Impero del Sol Levante. Se è la prima volta in vita mia che ho l’impressione di viaggiare, è probabilmente a causa del prestigio della mia destinazione: nel mio immaginario, non c’è nulla di più lontano, di più “fuori dal mondo”, come direbbe Baudelaire, del Giappone. È irrazionale, lo so. Devo essere vittima di innumerevoli luoghi comuni, se ho di questo paese una tale mitologia. Non ho
d’altronde alcun desiderio di riprenderli in esame, ho al contrario l’intenzione di confermarli attraverso l’osservazione, a rischio di falsarla.
Oggi, tutti vogliono distruggere i miti: lo trovo volgare e stupido. È tanto più facile distruggere una leggenda che costruirne una – e quando uno l’ha distrutta, mi chiedo che cosa ci ha guadagnato. Io invece lo so che cosa si perde. È sempre il mio lato alla Eugénie Grandet.
Come a darmi ragione, ecco sorgere all’oblò il monte Fuji. Che visione! Cade a strapiombo sulle nuvole, è bianco e perfetto: corrisponde punto per punto all’idea che me ne ero fatto. Evviva i luoghi comuni!