Il filo nascosto (Phantom Thread)(2017)
Regista: Paul Thomas Anderson
Sceneggiatura: Paul Thomas Anderson
Stars: Vicky Krieps, Daniel Day-Lewis, Lesley Manville
Se di Reynolds Woodcock, già prima di guardare il film, sappiamo come sia lontanamente ispirato alla figura reale di Cristobal Balenciaga e durante la visione ne scopriamo subito usi e costumi, carattere, gesti e idiosincrasie, invece di Alma, sia prima che dopo, a visione ultimata, continuiamo a non sapere assolutamente nulla, tranne il suo nome. Eppure ci basta. Alma: colei che nutre, “Per il ragazzo affamato”.
Nessun altro riferimento a un passato, a una famiglia, a una passione o un evento sintomatico in un flashback.
Alma sorge come un carattere mitologico, un viso illuminato da un fuoco, una voce priva di controcampo, una genesi narrativa.
Come ne L'età dell'innocenza, entriamo sinuosamente nelle volumetrie di un immaginario sociale: nell'alveare laborioso di una casa di moda. Un'abitazione, ma soprattutto un'azienda familiare retta da un sistema dove la devozione della sorella Cyril e l'immolazione periodica di una modella e musa sacrificale a Reynolds, ripristina l'equilibrio intaccato fatalmente dalla perdita della madre. Dinamiche inflessibili che nella loro liturgia spietata trasformano emotivamente la maison in una morgue sartoriale.
R: Puoi cucire quasi ogni cosa nel tessuto di una giacca.
Segreti. Monete. Parole, piccoli messaggi. Da bambino cominciai a nascondere cose nella fodera degli indumenti. Cose che solo io sapevo trovare. E sul petto porto una ciocca dei capelli di mia madre. Per tenerla sempre vicino a me. Era una donna eccezionale, mi insegnò la mia professione. Quindi cerco di non stare mai senza di lei.
Una lenta capitolazione verso il grembo materno abita tutto l'arco narrativo e visivo del film: nella trasformazione dei caratteri e nella pura suggestione visiva delle inquadrature e del montaggio. Vi è un rilascio graduale, una lenta solvenza all'interno della cornice del film che ne rallenta i tempi e i tagli, che sposta la temperatura dei colori dal bianco clinico a tonalità più calde.
All'inizio, quando si conoscono, Reynolds e Alma sono ancora nel mondo infantile del sarto.
Woodcock si riconnette al luogo natio, alla casa dei giochi. Tutti gli sguardi della camera si fanno esplorazione, avventura e indagine: le corse in macchina delimitate da una visuale quasi videoludica, come negli occhi del piccolo Danny kubrickiano; le misurazioni sul corpo di Alma con stoffe, metro e imbastitura senza ditale, mentre la sorella registra nel libro mastro l'anagrafica del vestibile, l'unica che sembra interessarli: "Io creo vestiti (…) Sono uno scapolo confermato. Sono incurabile.": né immagine né parola lasciano trasparire minime forme di erotismo tra loro(d'altronde “scapolo confermato”, a quei tempi, era un eufemismo a significare omosessualità).
Tutto sottolinea che siamo nel territorio emotivo di Reynolds. Alma è un'ospite appena arrivata, la vittima sacrificale che misteriosamente, con il suo fare mimetico, inizia a tessere la tela.
(Phantom Thread è anche un'altra rivisitazione dell’immaginario del ragno, che sembra trovare la perfetta sintesi in un celebre racconto di Hanns Heinz Ewers, Il ragno (1907). "Troviamo qui in particolare l’insetto come immagine di un femminile distruttivo, che attira l’uomo nella propria tela, ma trattandosi di una proiezione maschile, può essere letta come simbolo di un’introversione narcisistica, assorbimento dell’essere dal suo proprio centro, il ragno nella tela, vissuto come l’altro da sé cui si aspira a congiungersi, mediante l’offerta di sé: il proprio suicidio."¹)
Successivamente le dinamiche si allungano e le prospettive si allontanano.
Ritmi e riquadri seguono le attese e le poste, le provocazioni e le estenuazioni secondo il lento svelarsi dell'indistruttibile tenacia di Alma: “Se vuoi fare una gara di sguardi con me, perderesti”.
Con il passare del tempo, tra tensioni, rilasci, veleni e dolcezze c'è un riconoscimento dei propri ruoli, una reciproca assimilazione che nelle dinamiche non devia da una configurazione antica come il mondo: una fiera e invincibile figura materna che gestisce l'impeto creativo, distruttivo e nevrotico, il desiderio di perdersi e ritornare a casa, di lanciare il rocchetto del filo e riprenderlo del figlio. Alma che la notte di capodanno l'abbandona solo a casa e lo costringe a rompere gli schemi, raggiungerla, riprenderla. Reynolds che di nuovo torna a giocare a guardie e ladri, Alma che gli sequestra distintivo e chiacchiere, chiude il sipario:
R: Sei un agente speciale incaricato di rovinarmi la serata e magari la vita?
A: Perchè mi aggredisci? Perchè mi parli così?
R: Sono a casa mia? È casa mia, no? È casa mia? O sono stato gettato in terra straniera oltre il confine nemico? Sono circondato.
A: È la tua. Certo, è casa tua. Mi hai portato tu qui. Sei stato tu a portarmi qui.
R: Quando è successo? Chi sei tu? Hai una pistola? Sei qui per uccidermi?
A: Smettila! Piantala di fare il bambino. Basta...giochetti. Basta con questo gioco.
R: Non sto affatto giocando. A che gioco starei giocando? Che gioco?
A: Oh, tutto questo...Tutte le tue regole e i tuoi muri e le tue porte e le tue persone e i tuoi...soldi e tutti i tuoi vestiti e...tutto! Questo! Questo! Questo gioco!
L'ultima cartolina che il film sembra spedirci è l'illustrazione amniotica di Alma e Reynolds chiusi nel rifugio della loro cornice, all'interno dell'orlo cucito e narrato dalla stessa sposa: nel ventre della balena. L'unica agnizione possibile è quella ancestrale.
Qual è la crisi decisiva e spartiacque del loro rapporto? Non solo quando, dopo il primo avvelenamento, il fantasma della madre scompare all'arrivo di Alma, ma, meno oniricamente, quando dal mondo esterno, dalla vita che procede oltre i rituali del bambino Reynolds, come un granello di sabbia nell'ingranaggio, arriva una trasformazione, la parolina magica "chic" (che svolge il ruolo inverso della Safeword (la parola di sicurezza), "la parola convenzionale, che pronunciata nel corso di un rituale o di una scena BDSM ha come conseguenza l'immediata cessazione dell'azione. In questo modo il sub ha la garanzia che in ogni caso saranno rispettati i suoi limiti fisici e morali"²).
L'intromissione dell'estraneo, dello sconosciuto, l'irruzione del mondo dei grandi. Il terremoto improvviso in una sfera incantata dalla ripetizione; cataclisma che non spaventa la sorella e, invece, abbatte definitivamente Reynolds. La sister è consapevole e stanca, arrivata a un punto di saturazione, con il solo sguardo acconsente a un passaggio del testimone e delle consegne. Non c'è un contrasto così profondo tra le due donne, come qualcuno ha voluto rilevare. Tutt'al più un doloroso e vicendevole riconoscimento.
Viceversa, la scena in cui la coppia si allontana lasciando la carrozzella – con dentro un bambino che non vediamo mai – alla sorella Cyril, sembra dichiarare come questa nascita non cambi gli equilibri, con la sorella proscritta al ruolo di madre fisica e funzionale (madre, e non mamma-alma) mentre il connubio indissolubile (sotto spiriti e sotto veleni) uomo-donna, mamma-figlio, Edipo-Giocasta, artista-musa si riprende, fuori campo, la sfera che gli compete, quella delle pulsioni ataviche.
La sorella conosce Reynolds per come sia nella routine quotidiana, nella coazione a ripetere la struttura di una madre-modella ideale, ridisegnarle un vestito, nelle cerimonie sociali, nella vestizione dei rapporti di classe. Alma lo riconosce, senza averlo mai visto prima, per quello che è intimamente, inconsciamente, poiché l'ha sempre conosciuto: il suo bambino.
Il filo nascosto è il cordone ombelicale che lega tutte queste dualità (Una guerra tra due ordinamenti del mondo, poi un armistizio - senza vincitori né vinti - tra un amore totalitario dimentico di se stesso, e un solipsistico, gigantesco amore per se stessi che riconosce e abdica, sfiancato, alla grandezza di quel totale). I legami impossibili tra diverse classi sociali, il filo rosso che unisce le narrazioni, la tela del ragno che le imprigiona.
Il filo di Paul Thomas Anderson, tra mimesis (Il gioco seduttivo di Alma aderisce a tutti i vestiti e tutti gli usi della House, vestita di bianco si confonde sullo sfondo delle collaboratrici, delle mura immacolate, come un cavallo di troia si prepara alla conquista definitiva della cittadella Woodcock: il cinema amato e assimilato) e poesis (la trama, l'ordito delle rappresentazioni di Reynolds, i suoi figurini e i cartamodelli, la scelta dei materiali. La haute couture e tutti i suoi collaboratori: il regista creatore e la sua troupe).
Un racconto come una spoletta che si dirama da logiche primordiali, si svolge negli anni cinquanta e irrompe in una stagione umana mai in divenire come oggi. Siamo sicuri che l'umano sia finito? Riavvolgi la bobina.
Luca Tanchis
² Ayzad, BDSM - Guida per esploratori dell'erotismo estremo, Castelvecchi, 2004
Nessun altro riferimento a un passato, a una famiglia, a una passione o un evento sintomatico in un flashback.
Alma sorge come un carattere mitologico, un viso illuminato da un fuoco, una voce priva di controcampo, una genesi narrativa.
Come ne L'età dell'innocenza, entriamo sinuosamente nelle volumetrie di un immaginario sociale: nell'alveare laborioso di una casa di moda. Un'abitazione, ma soprattutto un'azienda familiare retta da un sistema dove la devozione della sorella Cyril e l'immolazione periodica di una modella e musa sacrificale a Reynolds, ripristina l'equilibrio intaccato fatalmente dalla perdita della madre. Dinamiche inflessibili che nella loro liturgia spietata trasformano emotivamente la maison in una morgue sartoriale.
R: Puoi cucire quasi ogni cosa nel tessuto di una giacca.
Segreti. Monete. Parole, piccoli messaggi. Da bambino cominciai a nascondere cose nella fodera degli indumenti. Cose che solo io sapevo trovare. E sul petto porto una ciocca dei capelli di mia madre. Per tenerla sempre vicino a me. Era una donna eccezionale, mi insegnò la mia professione. Quindi cerco di non stare mai senza di lei.
Una lenta capitolazione verso il grembo materno abita tutto l'arco narrativo e visivo del film: nella trasformazione dei caratteri e nella pura suggestione visiva delle inquadrature e del montaggio. Vi è un rilascio graduale, una lenta solvenza all'interno della cornice del film che ne rallenta i tempi e i tagli, che sposta la temperatura dei colori dal bianco clinico a tonalità più calde.
All'inizio, quando si conoscono, Reynolds e Alma sono ancora nel mondo infantile del sarto.
Woodcock si riconnette al luogo natio, alla casa dei giochi. Tutti gli sguardi della camera si fanno esplorazione, avventura e indagine: le corse in macchina delimitate da una visuale quasi videoludica, come negli occhi del piccolo Danny kubrickiano; le misurazioni sul corpo di Alma con stoffe, metro e imbastitura senza ditale, mentre la sorella registra nel libro mastro l'anagrafica del vestibile, l'unica che sembra interessarli: "Io creo vestiti (…) Sono uno scapolo confermato. Sono incurabile.": né immagine né parola lasciano trasparire minime forme di erotismo tra loro(d'altronde “scapolo confermato”, a quei tempi, era un eufemismo a significare omosessualità).
Tutto sottolinea che siamo nel territorio emotivo di Reynolds. Alma è un'ospite appena arrivata, la vittima sacrificale che misteriosamente, con il suo fare mimetico, inizia a tessere la tela.
(Phantom Thread è anche un'altra rivisitazione dell’immaginario del ragno, che sembra trovare la perfetta sintesi in un celebre racconto di Hanns Heinz Ewers, Il ragno (1907). "Troviamo qui in particolare l’insetto come immagine di un femminile distruttivo, che attira l’uomo nella propria tela, ma trattandosi di una proiezione maschile, può essere letta come simbolo di un’introversione narcisistica, assorbimento dell’essere dal suo proprio centro, il ragno nella tela, vissuto come l’altro da sé cui si aspira a congiungersi, mediante l’offerta di sé: il proprio suicidio."¹)
Successivamente le dinamiche si allungano e le prospettive si allontanano.
Ritmi e riquadri seguono le attese e le poste, le provocazioni e le estenuazioni secondo il lento svelarsi dell'indistruttibile tenacia di Alma: “Se vuoi fare una gara di sguardi con me, perderesti”.
Con il passare del tempo, tra tensioni, rilasci, veleni e dolcezze c'è un riconoscimento dei propri ruoli, una reciproca assimilazione che nelle dinamiche non devia da una configurazione antica come il mondo: una fiera e invincibile figura materna che gestisce l'impeto creativo, distruttivo e nevrotico, il desiderio di perdersi e ritornare a casa, di lanciare il rocchetto del filo e riprenderlo del figlio. Alma che la notte di capodanno l'abbandona solo a casa e lo costringe a rompere gli schemi, raggiungerla, riprenderla. Reynolds che di nuovo torna a giocare a guardie e ladri, Alma che gli sequestra distintivo e chiacchiere, chiude il sipario:
R: Sei un agente speciale incaricato di rovinarmi la serata e magari la vita?
A: Perchè mi aggredisci? Perchè mi parli così?
R: Sono a casa mia? È casa mia, no? È casa mia? O sono stato gettato in terra straniera oltre il confine nemico? Sono circondato.
A: È la tua. Certo, è casa tua. Mi hai portato tu qui. Sei stato tu a portarmi qui.
R: Quando è successo? Chi sei tu? Hai una pistola? Sei qui per uccidermi?
A: Smettila! Piantala di fare il bambino. Basta...giochetti. Basta con questo gioco.
R: Non sto affatto giocando. A che gioco starei giocando? Che gioco?
A: Oh, tutto questo...Tutte le tue regole e i tuoi muri e le tue porte e le tue persone e i tuoi...soldi e tutti i tuoi vestiti e...tutto! Questo! Questo! Questo gioco!
L'ultima cartolina che il film sembra spedirci è l'illustrazione amniotica di Alma e Reynolds chiusi nel rifugio della loro cornice, all'interno dell'orlo cucito e narrato dalla stessa sposa: nel ventre della balena. L'unica agnizione possibile è quella ancestrale.
Qual è la crisi decisiva e spartiacque del loro rapporto? Non solo quando, dopo il primo avvelenamento, il fantasma della madre scompare all'arrivo di Alma, ma, meno oniricamente, quando dal mondo esterno, dalla vita che procede oltre i rituali del bambino Reynolds, come un granello di sabbia nell'ingranaggio, arriva una trasformazione, la parolina magica "chic" (che svolge il ruolo inverso della Safeword (la parola di sicurezza), "la parola convenzionale, che pronunciata nel corso di un rituale o di una scena BDSM ha come conseguenza l'immediata cessazione dell'azione. In questo modo il sub ha la garanzia che in ogni caso saranno rispettati i suoi limiti fisici e morali"²).
L'intromissione dell'estraneo, dello sconosciuto, l'irruzione del mondo dei grandi. Il terremoto improvviso in una sfera incantata dalla ripetizione; cataclisma che non spaventa la sorella e, invece, abbatte definitivamente Reynolds. La sister è consapevole e stanca, arrivata a un punto di saturazione, con il solo sguardo acconsente a un passaggio del testimone e delle consegne. Non c'è un contrasto così profondo tra le due donne, come qualcuno ha voluto rilevare. Tutt'al più un doloroso e vicendevole riconoscimento.
Viceversa, la scena in cui la coppia si allontana lasciando la carrozzella – con dentro un bambino che non vediamo mai – alla sorella Cyril, sembra dichiarare come questa nascita non cambi gli equilibri, con la sorella proscritta al ruolo di madre fisica e funzionale (madre, e non mamma-alma) mentre il connubio indissolubile (sotto spiriti e sotto veleni) uomo-donna, mamma-figlio, Edipo-Giocasta, artista-musa si riprende, fuori campo, la sfera che gli compete, quella delle pulsioni ataviche.
La sorella conosce Reynolds per come sia nella routine quotidiana, nella coazione a ripetere la struttura di una madre-modella ideale, ridisegnarle un vestito, nelle cerimonie sociali, nella vestizione dei rapporti di classe. Alma lo riconosce, senza averlo mai visto prima, per quello che è intimamente, inconsciamente, poiché l'ha sempre conosciuto: il suo bambino.
Il filo nascosto è il cordone ombelicale che lega tutte queste dualità (Una guerra tra due ordinamenti del mondo, poi un armistizio - senza vincitori né vinti - tra un amore totalitario dimentico di se stesso, e un solipsistico, gigantesco amore per se stessi che riconosce e abdica, sfiancato, alla grandezza di quel totale). I legami impossibili tra diverse classi sociali, il filo rosso che unisce le narrazioni, la tela del ragno che le imprigiona.
Il filo di Paul Thomas Anderson, tra mimesis (Il gioco seduttivo di Alma aderisce a tutti i vestiti e tutti gli usi della House, vestita di bianco si confonde sullo sfondo delle collaboratrici, delle mura immacolate, come un cavallo di troia si prepara alla conquista definitiva della cittadella Woodcock: il cinema amato e assimilato) e poesis (la trama, l'ordito delle rappresentazioni di Reynolds, i suoi figurini e i cartamodelli, la scelta dei materiali. La haute couture e tutti i suoi collaboratori: il regista creatore e la sua troupe).
Un racconto come una spoletta che si dirama da logiche primordiali, si svolge negli anni cinquanta e irrompe in una stagione umana mai in divenire come oggi. Siamo sicuri che l'umano sia finito? Riavvolgi la bobina.
Luca Tanchis
Note:
¹ Alberto Castoldi, In carenza di senso. Logiche dell'immaginario, Bruno Mondadori, 2012² Ayzad, BDSM - Guida per esploratori dell'erotismo estremo, Castelvecchi, 2004