"Sono un cittadino ragionevolmente onesto di due paesi.
In America, in quella terra lugubre, spreco il mio voto, pago le tasse controvoglia, condivido l'esistenza con una moglie autoctona, e mi sforzo di non augurare a un presidente idiota di morire fra i tormenti..."
A pronunciare queste parole è Vladimir Brik, il protagonista de Il progetto Lazarus, personaggio fortemente autobiografico in quanto scrittore (anche se ancora alle prime armi) di origini bosniache trapiantato in America.
Imbattutosi casualmente nella storia di Lazarus Averbuch, povero immigrato ebreo diciannovenne nella Chicago dei primi del Novecento ingiustamente assassinato dal capo della polizia, decide di raccontare la storia dello sfortunato ragazzo, al quale si sente legato dall'affinità della condizione di solitudine e spaesamento dell'immigrato, e a questo proposito intraprende un lungo viaggio picaresco nel cuore dell'Europa continentale, dall'Ucraina alla Moldavia, da Bucarest a Sarajevo, sulle tracce di Lazarus.
Ad accompagnare Vladimir in questo viaggio divertente e malinconico, l'amico fotografo e compatriota Rora, avventuriero, raccontatore indefesso di balle colosssali ("Quando Rora parlava delle sue avventure incredibili, provavo il brivido riflesso di chi affronta il mondo con la nostra lingua irriverente e la nostra bosniaca faccia tosta") e, non a caso, fotografo.
Infatti Il progetto Lazarus, libro straordinario sotto diversi punti di vista, lo è anche perchè ha un'estensione multimediale nelle fotografie di Velibor Bozovic che non solo corredano, ma sostanziano la vita dell'opera stessa (esiste anche un sito internet dedicato al "Progetto Lazarus").
Vladimir: "Ti stai inventando tutto", dissi.
"Dovresti scrivere queste storie"
"Ho scattato delle foto"
"Devi scriverle"
"Per questo ci sei tu, per questo ti ho portato con me."
La condizione di Vladimir Brik , dell'immigrato che non si sente mai a suo agio in nessun luogo, e vive in questo perenne conflitto interiore, è resa plasticamente nel libro dall'oscillare del protagonista fra i due poli emotivi della sua vita: da una parte Mary, la volitiva e pragmatica moglie americana, e dall'altra l'amico, l'anima anarchica e disordinata.
"Mi torna in mente Mary, la sua sciocca, artefatta innocenza cattolica, la sua convinzione che la gente fosse cattiva per colpa di un'educazione sbagliata e una vita carente d'amore. Per lei il motore primario di un gesto era sempre una buona intenzione e il male sopraggiungeva solo quando la buona intenzione venisse involontariamente tradita o dimenticata. Tra me e Mary c'erano stati sporadici, dolorosi litigi sulle foto di Abu Ghraib. L'essenza della questione era che lei vedeva dei ragazzi americani sostanzialmente perbene agire in base all'errata convinzione che si stesse difendendo la libertà mentre le buone intenzioni si perdevano per via.
"Mi torna in mente Mary, la sua sciocca, artefatta innocenza cattolica, la sua convinzione che la gente fosse cattiva per colpa di un'educazione sbagliata e una vita carente d'amore. Per lei il motore primario di un gesto era sempre una buona intenzione e il male sopraggiungeva solo quando la buona intenzione venisse involontariamente tradita o dimenticata. Tra me e Mary c'erano stati sporadici, dolorosi litigi sulle foto di Abu Ghraib. L'essenza della questione era che lei vedeva dei ragazzi americani sostanzialmente perbene agire in base all'errata convinzione che si stesse difendendo la libertà mentre le buone intenzioni si perdevano per via.
Io vedevo dei giovani americani manifestare una gioia sconfinata nell'esercizio di di uno sconfinato potere sulla vita e la morte di terzi. Alla fine mi infuriai e persi il lume: fracassai il servizio di porcellana che avevamo ereditato da George e Rachel. A farmi scattare era stata Mary dicendo che l'America l'avrei capita meglio se fossi andato al lavoro ogni giorno e avessi incontrato gente normale.
Risposi che detestavo la gente normale e quella terra di liberi del cazzo e patria di prodi di merda, e detestavo Dio e George e tutto quanto. Le dissi che per essere americano bisognava non sapere niente e capire ancora meno, e che io non volevo esserlo. Il bagaglio che trascinavo per quelle terre dell'est conteneva i cadaveri torturati delle nostre buone intenzioni."
Vladimir finge ipocritamente di sottostare alle condizioni della moglie, del religiosissimo suocero, dello "schema americano", ma l'anima vaga triste, inesorabilmente attratta dal richiamo del sangue della natura bosniaca.
Vladimir finge ipocritamente di sottostare alle condizioni della moglie, del religiosissimo suocero, dello "schema americano", ma l'anima vaga triste, inesorabilmente attratta dal richiamo del sangue della natura bosniaca.
"Adesso non mi importava di un futuro in cui avessi guardato le foto di Rora. Quegli scatti non avrebbero rivelato nulla. Avevo visto tutto quello che c'era da vedere. Non credevo che in futuro avrei scoperto qualcosa che non sapessi già. Non mi importava che cosa sarebbe accaduto, perchè ero presente mentre accadeva. Forse era la conseguenza del nostro rapido spostarci verso est ; ci spostavamo svagatamente da un luogo all'altro; di preciso non sapevamo neanche quale fosse la meta. Tutto ciò che potevo vedere era quello che avevo di fronte, prima di passare all'oggetto successivo.
(...) Rora dal canto suo gironzolava, scattava foto, sembrava a proprio agio nell'incertezza del momento.
(...) Ed ecco quella sensazione familiare risalente ai bagni del liceo: per un istante fu come se questo mondo incolore, ordinato, senz'anima potesse accogliere in sè raffinate aberrazioni quali il mamba nero o un ferramenta che propone secchi di polpo."
Si potrebbero dire molte cose su questo romanzo, giustamente celebrato dalla critica internazionale come uno dei più belli e interessanti di questi anni.
Si potrebbe aggiungere il romanzo all'ormai affollata schiera della narrativa contemporanea che si muove sul crinale tra autobiografismo e autofiction, ma mi pare che l'argomento sia stato già abbondantemente dibattuto in luoghi ben più autorevoli (come, per esempio, qui e qui)
Si potrebbe giustamente celebrare l'eccezionale bravura di Hemon, bravura ancor più rilevante in uno scrittore che non è americano, ma nato e cresciuto a Sarajevo, e che ha imparato l'inglese già a vent'anni (da qui il paragone ricorrente con il sommo Nabokov, e, conoscendo la spericolatezza di Hemon, non escluderei che l'aver chiamato il protagonista Vladimir sia un atto insieme riverente e impudente: impertinente come le avventure del rocambolesco viaggio con Rora.)
Ma quello che invece mi pare interessante notare è che questo libro mi sembra avere qualcosa in comune con il Limonov di Carrere, e in parte con Il Cardellino di Donna Tartt (nella sua parte "russa", con il personaggio Boris), e dunque tre indizi costituirebbero prova, nelle tendenze della letteratura recente.
Mi pare, cioè, che i tre autori, in maniera esplicita o implicita, scaglino questa provocazione: la società americana e occidentale è asettica e ormai anoressica, può illudersi di avere tutto sotto sorveglianza, ma da qualche parte, nell'Europa dell'Est, spira un vento caotico, eccessivo, anarchico e sregolato, che è la vita che fuoriesce e sfugge a ogni pretesa arrogante di controllo.
(Aleksandar Hemon, Il progetto Lazarus - Einaudi 2010)
(Aleksandar Hemon, Il progetto Lazarus - Einaudi 2010)
Laura Anfossi
Lo splendido materiale iconografico che correda il testo è di Velibor Božović e The Chicago Historical Society
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