sabato 16 luglio 2011

L'échappée belle



[...] d’altronde, nella famiglia di Carine, ci si sbottona in fretta nel bel mezzo del pasto per parlare di stranieri.
Suo padre li chiama Talebani, tutti. Dice : « Pago le tasse per permettere ai Talebani di fare dieci figli ». 
Dice : « Li sbatterei tutti su un bastimento e tirerei un siluro su quei parassiti, io.. » Gli piace dire anche : 
« La Francia è un paese di assistiti e di buoni a nulla. I francesi son tutti degli imbecilli. » E spesso, conclude così : « Io lavoro i primi sei mesi dell’anno per la mia famiglia e gli altri sei per lo Stato, allora non venitemi a parlare di poveri o di disoccupati, chiaro!? Io lavoro un giorno su due per far ingravidare a Mamadou le sue dieci negre allora non venite a farmi lezioni di morale!”

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Penso a un pranzo in particolare. Non lo ricordo con piacere. Era il battesimo della piccola Alice. Eravamo riuniti a casa dei genitori di Carine, vicino a Le Mans. Suo padre è gestore di un Casinò* (i piselli surgelati, non le roulettes e il black jack) ed è stato vedendolo sul suo selciato, tra il lampione in ferro battuto e la sua bella Audi che ho veramente capito il significato della parola fat. Quel misto di stupidità ed arroganza. Quell’ incrollabile autostima. Quel cachemire azzurro teso sul panzone e quella maniera strana – così calorosa – di tenderti la mano, odiandoti di già.
Mi vergogno a ripensare a quel pranzo. Mi vergogno e non sono la sola. Credo che neanche Lola e Vincent ne siano fieri.. Simon non c’era quando la conversazione è degenerata. Era in fondo al giardino a costruire una capanna per suo figlio. Dev’esserci abituato, lui. Senz’altro sa che è meglio allontanarsi dal vecchio Jacquot quando si sbraghetta. Simon è come noi: non ama le discussioni di fine banchetto, teme i conflitti e fugge i rapporti di forza. Sostiene che sia energia sprecata e che bisognerebbe risparmiare queste forze per scopi più nobili. Che la gente come suo suocero sono battaglie perse in partenza. E quando qualcuno gli parla dell’ascesa dell’estrema destra, scuote la testa: “bah.. è obbligatorio, umano.. è la melma in fondo al lago, occuparsene la farebbe soltanto risalire in superficie.” Come fa a sopportare questi pranzi di famiglia? Come fa ad aiutare suo suocero a tagliare la siepe? Pensa alle capanne del piccolo Léo. Pensa al momento in cui prenderà suo figlio per mano e spariranno da soli nel sottobosco silenzioso.
Mi vergogno perchè abbiamo taciuto quel giorno. Abbiamo di nuovo taciuto. Non abbiamo raccolto le provocazioni di questo bottegaio rabbioso che non vedrà mai più lontano del suo naso. Non l’abbiamo contraddetto. Non ci siamo alzati da tavola. Abbiamo continuato a masticare lentamente ogni boccone, accontentandoci di pensare che fosse soltanto un coglione, cercando di non far saltare le cuciture del nostro abito di dignità. Poveri noi. Vigliacchi, così vigliacchi..
Perchè siamo così, tutt’e quattro? Perchè le persone che urlano più forte degli altri ci impressionano? Perchè la gente aggressiva ci manda nel pallone? Cos’è che non va in noi? Dov’è il confine tra l’essere educati e l’essere pavidi? Ne abbiamo parlato spesso. Abbiamo ammesso le nostre colpe davanti a croste di pizza e portaceneri improvvisati. Non ci serve nessuno per farci chinare il capo. Siamo abbastanza grandi per piegarlo da soli.. e qualunque sia il numero delle bottiglie svuotate, arriviamo sempre alla stessa conclusione: che se siamo così, silenziosi e determinati ma sempre impotenti difronte agli imbecilli, è proprio perchè non abbiamo la minima particella di fiducia in noi stessi. Noi non ci amiamo. Non intendo personalmente. Non ci riconosciamo una tale importanza. Non abbastanza da sputare sul gilet di Don Molinoux. Non abbastanza da credere per un solo istante che le nostre grida potessero deviare lo scorrere dei suoi pensieri. Non abbastanza da sperare che il nostro moto di disgusto, i nostri tovaglioli gettati sul tavolo e le nostre sedie rovesciate possano in qualche modo cambiare l’andazzo del mondo.

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Cosa avrebbe pensato questo contribuente-modello vedendoci reagire così e lasciare la sua magione a testa alta? Avrebbe semplicemente logorato per tutta la sera sua moglie ripetendo: “Che stronzi. No, ma.. che stronzi. No, ma veramente.. che stronzi.” Perchè imporre questo a quella povera donna? Chi siamo noi per rovinare la festa a venti persone? 

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Potremmo anche dire che non si tratta di vigliaccheria. Potremmo anche ammettere che si tratta di saggezza.
Di saper prendere le distanze. Che non ci piace sguazzare nella merda. Che siamo più onesti di tutta quella gente che continua a sbraitare sterilmente. Sì, ci consoliamo così. Ricordandoci che siamo giovani e già troppo lucidi. Che siamo mille cubiti al di sopra di questo formicaio e che la stupidità non può scalfirci più di tanto.
Ce ne freghiamo. Abbiamo altro. Abbiamo noi stessi. Abbiamo un altro tipo di ricchezza. Basta sporgerci un po' in dentro. E’ pieno di cose nella nostra testa. Pieno di cose così distanti da questi rigurgiti razzisti. Ci sono la musica e gli scrittori. Dei sentieri, delle mani, dei rifugi. Delle scìe di comète scarabocchiate su ricevute di bancomat, delle pagine strappate, dei ricordi felici e dei ricordi orribili. Delle canzoni, dei ritornelli sulla punta della lingua. Dei messaggi in archivio, dei libri inconfutabili, degli orsacchiotti sdolcinati e dei dischi graffiati. 
La nostra infanzia, le nostre solitudini, i nostri primi turbamenti e i nostri progetti sul futuro. Tutte quelle ore a farsi la guardia e tutte quelle porte tenute. I flip-flap di Buster Keaton. La lettera di Armand Robin alla Gestapo e l’ariete di nuvole della poesia di Michel Leiris. La scena in cui Clint Eastwood si gira e dice Oh.. and don’t kid yourself, Francesca.. e "La meglio gioventù". I balli del 14 Luglio a Villiers. L’odore di mela cotogna in cantina. 
I nostri nonni, la sciabola del Signor Racine e la sua corazza luccicante, i nostri sogni da provinciali e le vigilie degli esami. L’impermeabile di Mademoiselle Jeanne quando fa per sedersi di dietro, sulla moto di Gaston. 
I fumetti di François Bourgeon e le prime righe del libro di André Gorz a sua moglie che Lola mi ha letto ieri sera al telefono dopo aver di nuovo ricacciato l’amore durante uno dei nostri down: “Stai per compiere ottantadue anni. Ti sei rimpicciolita di sei centimetri, pesi appena quarantacinque chili ma sei sempre bella, graziosa e desiderabile.” Marcello Mastroianni in Oci Ciornie e gli abiti di Cristobal Balenciaga. L’odore di polvere e di pane raffermo dei cavalli, la sera, quando scendevamo dal pullman. I coniugi Lalanne nel loro laboratorio, aldilà del giardino. La notte in cui abbiamo ridipinto Rue des Vertus e quella in cui abbiamo tirato una pelle di aringa sulla terrazza del ristorante dove lavorava quell’asino calzato di Padellone. E quel viaggio, sdraiati su dei cartoni, sul cassone di un camioncino, mentre Vincent ci leggeva L’Etabli ad alta voce. La faccia di Simon quando ha sentito Björk per la prima volta in vita sua e le arie di Monteverdi nel parcheggio di una discoteca. Tutte quelle stupidaggini, quei rimorsi e le nostre bolle di sapone al funerale del padrino di Lola.. I nostri amori persi, le nostre lettere strappate e i nostri amici al telefono. Quelle notti memorabili, la mania di voler sempre spostare tutto e la persona che faremo cadere domani rincorrendo un bus che non ci avrà aspettato. 
Tutto questo ed altro. Abbastanza per non farci il sangue amaro.
Abbastanza per non cercare di discutere con gli imbecilli. 
Che crepino. 
Creperanno, in ogni caso. 
Creperanno soli, mentre noi saremo al cinema.


Anna Gavalda, L'échappée belle 
*Casinò: Catena di generi alimentari. 
Traduzione: Carlo Ligas


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