In lontananza il lungo muggito dei bastimenti. Nella misera sala d’aspetto, in un lucore vermiglio, Jimmy attende a lungo l’arrivo del ferry. Fuma e si sente felice. Tutto gli sembra svanito nella memoria: tutto l’avvenire è là, nel fiume brumoso, nel miraggio del ferry che ingrandisce con la sua fila di lumi come un sorriso di negro. In piedi vicino al parapetto col cappello in mano, sente nei capelli il vento del fiume. Forse è diventato pazzo, forse è ciò che si chiama amnesia o qualche malattia con un gran nome greco, forse lo troveranno a raccogliere le more nella metropolitana di Hoboken. Scoppia a ridere così forte che il vecchio venuto a aprire il cancello gli dà un’occhiata di traverso. Pazzo; un ragno nel cervello, dice tra sé. Forse ha ragione. Cane d’un cane, se fossi pittore mi lascerebbero dipingere nella casa dei matti, e dipingerei Sant’Aloisio di Filadelfia con un cappello di paglia sul capo a guisa di aureola e in mano il tubo di piombo, strumento del martirio, e io piccolo piccolo in orazione ai suoi piedi. Solo passeggero sul ferry, Jimmy passeggia come in casa sua. Il mio panfilo temporaneo. Per Giove, certo sono allucinazioni notturne, mormora, e s’incaponisce nel voler spiegare la propria allegria. Non sono ubriaco; forse sono pazzo...
Prima che il ferry si stacchi dalla riva, una carretta s’imbarca, una carretta sconquassata carica di fiori, con un ometto bruno dagli zigomi sporgenti. Jimmy Herf vi gira attorno; dietro il cavallo fiacco, dalla groppa irta come un attaccapanni, la piccola carretta tutta contorta è di un’inattesa allegria, con il suo carico di gerani rossi e rosa, di garofani, fiordalisi, di rose spampanate e lobelie azzurre. Ne emana un forte odore di terra primaverile, di vasi da fiori umidi e di serre. Il conducente siede raggomitolato, con, il cappello sugli occhi. Jimmy ha una gran voglia di domandargli dove vada con quei fiori, ma si trattiene e va a prora.
Prima che il ferry si stacchi dalla riva, una carretta s’imbarca, una carretta sconquassata carica di fiori, con un ometto bruno dagli zigomi sporgenti. Jimmy Herf vi gira attorno; dietro il cavallo fiacco, dalla groppa irta come un attaccapanni, la piccola carretta tutta contorta è di un’inattesa allegria, con il suo carico di gerani rossi e rosa, di garofani, fiordalisi, di rose spampanate e lobelie azzurre. Ne emana un forte odore di terra primaverile, di vasi da fiori umidi e di serre. Il conducente siede raggomitolato, con, il cappello sugli occhi. Jimmy ha una gran voglia di domandargli dove vada con quei fiori, ma si trattiene e va a prora.
Nella bruma oscura e vuota del fiume, l’imbarcadero subitamente sbadiglia, bocca nera dalla gola di luce.
Herf si affretta attraverso un’oscurità cavernosa e sbocca in una strada soffusa di nebbia. Poi s’inerpica per una costa. Sotto di lui si stendono le rotaie, il lento martellare d’un treno merci e il fischio d’una locomotiva. Al sommo dell’altura si ferma e guarda dietro di sé. Non vede nulla: soltanto bruma picchiettata dall’alone delle lampade ad arco. Si rimette in cammino, felice di respirare, di sentir battere le arterie, di udire i passi sul selciato, tra file di case che sembrano appartenere a un altro mondo. A poco a poco la nebbia si dissolve e sorge un biancore perlaceo mattutino.
Il sole che sorge lo trova in marcia su una strada asfaltata, tra terreni incolti, ingombri di detriti fumanti. Il sole brilla rossastro nella bruma, su rottami rugginosi, scheletri di camion, ossature di Ford, masse informi di metallo corroso. Jimmy cammina svelto, per sfuggire agli odori. Ha fame e le scarpe cominciano a gonfiargli bolle sotto la pianta dei piedi. A un trivio, dove un segnale luminoso occhieggia e occhieggia, c’è un deposito di benzina e, di fronte, un bar-ristorante. Il Lighting Bug. Spende con prudenza l’ultimo quarter per la colazione. Gli restano tre cents per portargli buona o cattiva fortuna. Arriva un grande camion da trasporto, giallo e lucente.
— Dite un po’, mi permettete di montare? — domanda - all’uomo dai capelli rossi che sta al volante.
— Andate molto lontano?
— Non saprei… Piuttosto lontano.
Traduzione di Alessandra Scalero
(Manhattan Transfer/Nuova York, John Dos Passos - Ed. Corbaccio, 1965)
Per la prima volta in Italia la traduzione integrale, senza censure, del capolavoro di John Dos Passos: “Manhattan Transfer“ (Baldini&Castoldi, 2012) (Leggi qui)