mercoledì 14 giugno 2017

6. American honey, di Andrea Arnold (2016) Eyeglass prescription - Best Film 2015/2016


6. American honey (2016)

La diciottenne Star abbandona la problematica famiglia aggregandosi a un gruppo di ragazzi conosciuti nel posteggio di un supermarket. Il gruppo vende abbonamenti a riviste, girovagando di città in città, di porta in porta, lungo gli stati del Midwest. Non completamente a suo agio in questa gang bizzarra e scalmanata, Star si adegua al loro stile di vita, ai loro ritmi e intreccia un intenso ma instabile legame con Jake. (163 min.)

Director: Andrea Arnold
Stars: Sasha Lane, Shia LaBeouf, Riley Keough, McCaul Lombardi

La vecchia generazione di zombie è ancora tutta asserragliata dentro il centro commerciale.
Dawn of the Dead (1978) e il successivo The Store (1983) ci fornivano in fieri - uno in maniera beffardamente speculare e l'altro in chiave socio-antropologica – una topografia del fenomeno.
Oggi le cose sono cambiate; non solo la crisi economica, l'avvento del grande mercato online e l'erosione della classe media, ma anche e soprattutto tre decenni di globalizzazione, di velocissima crescita tecnologica, di colonizzazioni e decolonizzazioni, di successivi enormi flussi migratori che hanno destabilizzato e ricreato, insieme agli stessi indigeni, una grande zona di esuli, di clandestini, di società civile liminare alle prese con un nuovo paesaggio, alla ricerca di una nuova narrazione che sembra avere sempre però lo stesso denominatore: il mercato.

I figli di queste generazione di zombie, sono quelli che l'ipermercato non l'hanno mai visto da “fuori”, stagliato sull'orizzonte e luogo da assaltare, ma l'hanno vissuto come propria genetica e casa: À L'IntérieurL'aspirazione oggi è quella che prefigurava Charlie Brooker, in Dead Set: il reality e la riconoscibilità mediatica come ultimo fortino da divorare.



Andrea Arnold filma questa progenie all'atto della ribellione adolescenziale, della fuga da casa, dai grandi mall (non prima di averne raccolto i rifiuti - un pollo buono come cibo per cani -e inscenato una divertita coreografia di sfregio) e lo fa nel momento giusto sia a livello allegorico che economico, cioè quando, negli USA, questi grandi magazzini incominciano a chiudere per lo sgretolamento della middle class (a favore di discount per poveri e negozi di lusso) e nel modo giusto: un 4/3 televisivo che nega ogni spettacolarizzazione e cinemiracle.



Questa fuga sembra esaurirsi in un reale svuotato, in un'altra subordinazione: nell'impresa vuota del vendere prodotti arcaici (le riviste cartacee) a una classe agiata che le compra per carità.
La comunità si salda nella reiterazione di riti collettivi ammaestrati. Si riconosce in bolle di conformismo, nell'adorazione di figure trash (ed è divertente costruire una corrispondenza tra gli estremi apicali che si formano nella visione di una parodia come Popstar: Never Stop Never Stopping, che diventa quasi un surreale spin-off, non solo per la “simbolica” tartaruga, ma soprattutto per questa ellisse che si crea tra desiderio di emulazione, gigantismo e horror vacui: “Beh, quando ero piccola, trascorrevo ore guardando coppie famose nelle riviste: US Weekly, People, Vogue, e tutti si domandavano: “Sono una coppia reale o sono insieme solo per pubblicità?” E io sapevo che quando sarei cresciuta, volevo essere una di quelle coppie.”¹




Questo è un road movie disperato, a cui non si può non voler bene, perchè cerca ancora di indagare sulla realtà quando la "realtà" è diventata fisiologicamente cinema.
In questo si situa agli antipodi di un'altra escursione  tra le file della generazione Z: Spring Breakers. Se il capolavoro di Korine mostrava una mutazione compiuta² - Faith e gli altri protagonisti hanno uno sguardo da dietro una maschera cinematografica che è così connaturata ai personaggi da essere diventata genetica (“Look at 'ma shit!”) - nel film di Arnold vi è ancora una reazione contro questa sorta di cinema incarnato che è diventata la realtà: Star (ironicamente i nomi delle due eroine dei rispettivi film sarebbero più calzanti a parti inverse) si ribella alla frode inscenata da Jake pur di vendere qualche abbonamento:
"Sei andato troppo oltre con la storia della mamma e del tir. Non puoi fare così."; vi è in lei ancora una esile richiesta di verità.

C'è in Star ancora un sussulto di libertà interiore, a differenza della docilità quasi autistica dei suoi compagni, della loro accettazione a partecipare a routine tribali di premio e punizione con tormentoni da ripetere all'unisono, come i carcerati di Cool Hand Luke, come i cori militari di Full Metal Jacket, come i commessi Apple che intonano canti aziendali per incitare alla resistenza lunghe file di fanboy in attesa.
La sua ribellione (come quella di Mia in Fish Tank)  è un sentimento compresso che destabilizza lo stesso Jake, il quale scopre improvvisamente di non conoscere bene i meccanismi che lo spingono ad operare così disinvoltamente, all'oscuro di se stesso, e, al tempo stesso, trasporta tutti i caratteri del racconto verso una zona neutra a loro sconosciuta precedentemente. 
Come nel meraviglioso viaggio di Kelly Reichardt, Meek's Cutoff - che si situa temporalmente dalla parte opposta del timing americano (1860, il mito della frontiera) e che inizia geograficamente dove finisce lo scorrere fluviale di American Honey (Missouri) -
il film di Andrea Arnold 
è un road movie dove la macina delle grandi trasformazioni storiche sacrifica volentieri i figli meno abbienti, e dove, tra questi, voler speculare attorno a vittime e carnefici è pura captatio benevolentiae.


Eppure, come recita la canzone che dà il titolo al film (non casualmente un brano country) e che la piccola comunità canta in coro nel pulmino-capsula-ipod, "C'è un sussurro selvatico che soffia nel vento, chiama il mio nome come un amico di vecchia data, Oh mi mancano quei giorni, mentre passano gli anni, Oh nulla è più dolce dell'estate e della bellezza americana".


Andrea Arnold riesce a tradurre cinematograficamente quel pulviscolo di brace adolescenziale che giace sotto montagne di degrado economico, civile e culturale; questa volta è riuscita a raccontarlo dentro quel che resta del sogno americano. L'educazione sentimentale di una piccola donna attraverso i simboli dei miti fondativi dell'America: cowboy, nativi, grizzly, secessioni, petrolio (e guerre per) e quella giovinezza ferina di cui l'Europa ha avuto sempre grande invidia.



Luca Tanchis



Note:
¹ dialogo tratto da Popstar: Never Stop Never Stopping
² nel bellissimo documentario della BBC di Adam Curtis, HyperNormalisation, l'autore traccia l'inizio di questo passaggio, da groupie a star, nei video ginnici di Jane Fonda, passando per l'avvento delle prime videocamere domestiche:





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