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venerdì 8 aprile 2016

IL CANTO DELLA PERLA, raccontato da Pietro Citati


IL CANTO DELLA PERLA

Un giovanissimo principe viveva in un lontano regno d'Oriente. Il «re dei re» era suo padre, la regina sua madre, il fratello maggiore primo ministro; e una folla di principi e di dignitari si affollava nelle sale dei grandi palazzi, colmi di ricchezza e di gioia. Per qualche tempo, il giovane principe soggiornò nella «casa del padre». Di quel primo periodo della sua esistenza conosciamo pochissimo. Sappiamo soltanto che il padre e la madre gli avevano tessuto una veste colorata e splendente, ornata d'oro e di berilli, di calcedonii e di sardonii, con le giunture unite da fermagli di diamante, nella quale era dipinta l'immagine del «re dei re». Questa veste non era un semplice abito. Era il suo doppio celeste, il suo io permanente ed essenziale, che stava al di là dei fenomeni e delle apparenze: insieme diverso e identico a lui, come sono diverse e identiche una figura e la sua immagine riflessa allo specchio. Ma il principe era ancora troppo giovane e ingenuo, per conoscere il vero significato dell'abito che gli avvolgeva le membra.

Un giorno, questa vita inconscia e beata si interruppe. Il padre e la madre tolsero al figlio la veste splendente; e conclusero un patto con lui, che scrissero nel suo cuore, perché egli non lo dimenticasse: come nel cuore di ognuno di noi sta inciso il segno del nostro destino. Egli doveva discendere nell'Egitto, e liberare una perla, l'unica degna di questo no-me, che stava nel mezzo del mare, custodita da un serpente schiumante di veleno e di rabbia.

Ogni lettore del Canto della perla comprende che esso nasconde delle verità segrete, dietro la lettera del racconto.

Qualcuna di queste verità ci è subito chiara. Il regno d'Oriente non è altro che il regno dei cieli: l'Egitto il mondo della materia, e il serpente è il sovrano di questo mondo. Chi è il giovane principe? E la perla? Come nei grandi simboli, le verità parallele o contradittorie si intrecciano l'una nell'altra, si dispongono fraternamente l'una sull'altra. Il principe che compie il viaggio nella materia è il Redentore; e la perla l'anima umana, questa goccia di sole o di rugiada celeste, chiusa nella prigione del corpo. Ma il principe è anche l'immagine di tutti gli uomini, che scendono sulla terra per conquistare il regno di Dio, l'unica perla degna di questo nome.

Insieme a due compagni, il principe attraversa le frontiere del proprio dominio e le mura di Babilonia, abitate da malvagi e da demoni. 
Quando giunge in Egitto, i compagni lo abbandonano. Allora egli resta solo, doppiamente straniero: lontano dai suoi, perduti nelle profondità del m o n d o celeste, ed estraneo agli Egiziani, che non potrebbero mai amarlo e comprenderlo. Egli li teme e, per nascondersi agli occhi indifferenti ed ostili, indossa il loro abito impuro, il loro corpo d'acqua e di terra, come Cristo aveva indossato un corpo umano. Ignoriamo quanto duri questa vita nascosta: forse qualche mese, forse il tempo di una intera esistenza. Finché in un momento di disattenzione e di distrazione, il principe rivela il proprio segreto agli Egiziani, i quali si accorgono che è un «orientale», un uomo di luce, e gli danno da mangiare il loro cibo. Allora egli cade in un profondissimo sonno: non il sonno ristoratore, che riposa le membra e la mente affrante, ma quello tremendo, che ci fa perdere la nostra identità, ci fa dimenticare il nostro io, e commettere in sogno azioni nelle quali non ci riconosciamo. Dimentica la propria origine regale, la veste luminosa, e la perla che avrebbe dovuto liberare.

Mentre Cristo aveva conservato la natura divina scendendo attraverso le sfere celesti, l'ignoto Redentore fallisce nella sua impresa: simile a ciascuno di noi, che non può conquistare il regno di Dio soltanto con le proprie forze.

Chissà quanto a lungo egli avrebbe vissuto così, sopraffatto dall'oppio della dimenticanza, se lo sguardo amoroso del cielo non l'avesse soccorso. Il «re dei re», la regina, il fratello, i principi e i dignitari della corte d'Oriente gli scrivono una lettera, invitandolo a ricordare la propria origine. Ci immagineremmo che qualche messo scenda in Egitto a portargliela, oppure che una visione gliela riveli in sogno. Scritta su seta di Seleucia o di Cina, la lettera si trasforma invece in una creatura vivente, come tutti i concetti astratti, i simboli, i pensieri e i sentimenti di questo mito, che assumono un corpo animato. La lettera attraversa il cielo nella forma di un'aquila; e l'aquila, appena scesa sulla terra d'Egitto, diventa una voce, una parola, un altissimo grido, che risuona nelle tremende profondità del sonno. Questa voce è identica al patto che il «re dei re» aveva scritto nel cuore del principe al momento della discesa: è il suo destino, che gli viene ricordato dall'alto dei cieli.

Il principe si risveglia. Afferra la lettera, che ora è di nuovo soltanto un foglio di seta, la stringe al petto, la bacia, la legge; e subito la memoria ricrea nella sua mente l'immagine della patria e della perla dimenticate. Il Redentore sconfitto viene redento: l'anima perduta viene liberata dall'incantesimo che la teneva avvinta. Il principe non ha alcun merito in questo risveglio: ma vince in sé ogni debolezza, ogni esita-zione, ogni distrazione colpevole, rafforza la propria volontà, e si muove per liberare la perla. Raggiunge il serpente che soggiorna sulle rive del mare, lo incanta e lo addormenta, pronunciando i nomi magici del Padre, della Madre e del Figlio. Apre la conchiglia, libera la perla dalla doppia schiavitù del sovrano di questo m o n d o e del rigido involucro; e la espone alla luce d'Oriente. L'anima prigioniera può finalmente tornare nella sua vera patria, insieme al Redentore che l'ha salvata.

Nessun impedimento, nessuna forza terrena cercano di ostacolare il ritorno. Il principe lascia il corpo di terra sulle sabbie d'Egitto, e comincia il viaggio - quel viaggio che avviene sia dopo la nostra morte, sia nei momenti estatici della visione - verso la casa del padre. Il cammino è lungo e difficile; e questa volta ad accompagnare il principe è il suo destino compiuto, che gli viene incontro nella forma della lettera inviata dal cielo. Vivace come la più viva persona, nobile come la più eletta creatura angelica, la lettera è ancora davanti a lui: la superficie di finissima seta irradia luce quanto la lampada che illumina le strade della notte, la voce miracolosa rianima lo slancio, l'intensità dell'amore lo attira verso l'alto. Il Redentore percorre un'altra volta le piste carovaniere: attraversa i fiumi, i deserti, le pianure fittamente coltivate, e le mura terrificanti di Babilonia.

Quando giunge ai confini del suo regno, trova ad attenderlo l'abito luminoso e colorato dell'infanzia. Mentre viveva sepolto nella prigione dell'oblìo, l'aveva dimenticato completamente. Ora si accorge che la veste, di cui da giovane non aveva compreso il significato, è divenuta il suo specchio vivente: essi sono due, persone divise e separate, eppure so-no la stessa persona, la stessa immagine, la stessa forma, dove si riflette la lontana immagine di Dio. Egli la ascolta parlare e capisce che la veste è animata dai movimenti della conoscenza più perfetta. Intanto essa si stende regalmente verso di lui, si precipita verso di lui perché la indossi, si affretta verso di lui perché la accolga per sempre. L'amore appena nato spinge il principe ad andarle incontro, a stendere le mani ed il corpo; e si avvolge interamente dentro di essa, adornandosi con la bellezza dei suoi colori. Così, dopo aver realizzato il proprio destino, il principe si identifica con il suo doppio celeste, lo comprende e ne viene compreso, lo ama e ne viene amato. La scissione dell'io è ricomposta: l'io apparente si riunisce all'io trascendente, la persona al suo specchio; e tanto il Redentore quanto ogni uomo «diventano quello che sono».

Tornato nei palazzi d'Oriente, il principe adora suo padre, mentre i principi e i dignitari lo acclamano. Egli è d u n q u e tornato davanti al «re dei re», che aveva abbandonato bambino? Noi lo crediamo. Eppure, nel momento in cui giunge a casa, il Canto della perla ci informa che il padre dovrà condurlo davanti al trono del vero «re dei re». Se avesse raggiunto questo trono, certo avrebbe dovuto procedere verso un altro trono, dietro il quale sarebbe apparsa l'ombra di un altro trono. Il movimento verso Dio non può finire: perché egli si sposta, si allontana da noi, fugge in uno spazio sempre più alto e remoto, celato dietro una sempre nuova cortina, mentre qualcuno immagina di averlo raggiunto.


Il canto della perla è stato composto nel primo o nel secondo secolo dopo Cristo. Non sappiamo chi l'abbia scritto, né il luogo dove è stato scritto, sebbene il suo testo più antico sia siriaco. Gli studiosi moderni hanno rintracciato paralleli con le tarde apocalissi giudaiche, con i Vangeli e le lettere di san Paolo, con la tradizione giudeo-cristiana, con quella della Chiesa di Siria, con la gnosi pagana e cristiana, con la cultura zoroastriana, mandea e manichea; e perfino con gli antichi romanzi greci, ispirati al culto del sole. Nessuno di questi paralleli esclude l'altro. Tutti si compongono e si rafforzano l'uno con l'altro: perché questo canto meraviglioso è una perla, che raccoglie tutte le influenze e gli echi del mondo, tutte le gocce della rugiada celeste, le assorbe, le chiude nella perfezione della propria sfera, e le fa diventare invisibili, come il raggio di luce che si perde sempre più intimamente nel grembo compatto del mare.

Tratto da La luce della notte. I grandi miti nella storia del mondo, di Pietro Citati
Editore: Mondadori, 1996



«Quando ero bambino e abitavo nel regno della casa di mio Padre e mi dilettavo della ricchezza e dello splendore di coloro che mi avevano allevato, i miei genitori mi mandarono dall'oriente, nostra patria, con le provviste per il viaggio. Delle ricchezze della nostra casa fecero un carico per me: esso era grande, eppure leggero, in modo che potessi portarlo da solo. Mi tolsero il vestito di gloria che nel loro amore avevano fatto per me, e il manto di porpora che era stato tessuto in modo che si adattasse perfettamente alla mia persona, e fecero un patto con me e lo scrissero nel mio cuore perché non lo potessi scordare: 'Quando andrai in Egitto e ne riporterai l'Unica Perla che giace in mezzo al mare, accerchiata dal serpente sibilante, indosserai di nuovo il tuo vestito di gloria e il manto sopra di esso, e con tuo fratello, prossimo a noi in dignità, sii erede nel nostro regno'.
Lasciai l'Oriente e m'avviai alla discesa, accompagnato da due messi reali, poiché il cammino era pericoloso e difficile ed io ero troppo giovane per un tale viaggio; oltrepassai i confini di Maishan, punto d'incontro dei mercanti dell'Oriente, giunsi nella terra di Babel ed entrai nelle mura di Sarburg. Scesi in Egitto e i miei compagni mi lasciarono. Mi diressi deciso al serpente e mi stabilii vicino alla sua dimora in attesa che si riposasse e dormisse per potergli prendere la Perla. Poiché ero solo e me ne stavo in disparte, ero forestiero per gli abitanti dell'albergo. Pure vidi là uno della mia razza, un giovane leggiadro e bello, figlio di re. Egli venne e si unì a me; io lo accolsi familiarmente e con fiducia e gli raccontai della mia missione. Egli mi avvertii di guardarmi dagli Egiziani e di evitare il contatto con gli impuri. Tuttavia mi vestii con i loro abiti, perché non sospettassero di me, che ero venuto da fuori per prendere la Perla, e non risvegliassero il serpente contro di me. Ma in qualche modo si accorsero che non ero uno di loro e cercarono di rendersi graditi a me; mi mescerono nella loro astuzia una bevanda, e mi dettero da mangiare della loro carne; e io dimenticai che ero figlio di re e servii il loro re. Io dimenticai la Perla per la quale i miei genitori mi avevano mandato. Per la pesantezza del loro cibo caddi in un sonno profondo.
I miei genitori avevano notato tutto quello che mi accadeva ed erano afflitti per me. Fu proclamato nel nostro regno che tutti dovevano presentarsi alle nostre porte. E i re e i grandi della Partia e tutti i nobili dell'Oriente formarono un piano perché io non fossi lasciato in Egitto. E mi scrissero una lettera firmata col nome di ciascuno dei grandi.
"Da tuo padre, il re dei re, e da tua madre, signora dell'Oriente, e da tuo fratello, nostro prossimo di rango, a te nostro figlio in Egitto, salute. Svegliati e sorgi dal tuo sonno, e intendi le parole della nostra lettera. Ricordati che sei figlio di re: guarda chi hai servito in schiavitù. Poni mente alla Perla per la quale sei partito per l'Egitto. Ricordati del vestito di gloria, richiama il manto splendido, per indossarli e adornarti con essi, e il tuo nome possa essere letto nel libro degli eroi e tu divenga con tuo fratello, nostro delegato, erede nel nostro regno". Come un messaggero era la lettera che il Re aveva sigillato con la mano destra contro i malvagi, i figli di Babel e i demoni ribelli di Sarburg. Si levò in forma di aquila, il re di tutti gli alati, e volò finché discese vicino a me e divenne interamente parola. Al suono della sua voce mi svegliai e mi destai dal sonno; la presi, la baciai, ruppi il sigillo e lessi. Conformi a quanto era stato scritto nel mio cuore si potevano leggere le parole della mia lettera. Mi ricordai che ero figlio di re e che la mia anima, nata libera, aspirava ai suoi simili. Mi ricordai della Perla per la quale ero stato mandato in Egitto e cominciai ad incantare il terribile serpente sibilante. Lo indussi al sonno invocando su di lui il nome di mio Padre, il nome del nostro prossimo in rango e quello di mia madre, la regina dell'Oriente. Presi la Perla e mi volsi per tornare a casa da mio Padre. Mi spogliai del loro vestito sordido e impuro e lo abbandonai nella loro terra; diressi il mio cammino onde giungere alla luce della nostra patria, l'Oriente.
Trovai la lettera che mi aveva ridestato davanti a me sul mio cammino; e come mi aveva svegliato con la sua voce, ora mi guidava con la sua luce che brillava dinanzi a me; e con la voce incoraggiava il mio timore e col suo amore mi traeva. E andai avanti. I miei genitori mandarono incontro a me a mezzo dei loro tesorieri, a cui erano stati affidati, il vestito di gloria che avevo tolto e il manto che doveva coprirlo. Avevo dimenticato il suo splendore, avendolo lasciato da bambino in casa di mio Padre. Mentre ora osservavo il vestito, mi sembrò che diventasse improvvisamente uno specchio-immagine di me stesso: mi vidi tutto intero in esso ed esso tutto vidi in me, cosicché eravamo due separati, eppure ancora uno per l'uguaglianza della forma. E l'immagine del Re dei Re era raffigurata dappertutto su di esso. E vidi anche vibrare dappertutto su di esso i movimenti della gnosi. Vidi che stava per parlare e percepii il suono delle canzoni che mormorava lungo la discesa: "Sono io che ho agito nelle azioni di colui per il quale sono stato allevato nella casa di mio Padre, ed ho sentito in me stesso che la mia statura cresceva in corrispondenza delle sue fatiche". E con i suoi movimenti regali si offerse tutto a me e dalle mani di quelli che lo portavano si affrettò perché potessi prenderlo; e anch'io ero mosso dall'amore a correre verso di esso per riceverlo. E mi protesi verso di lui, lo presi, e mi avvolsi nella bellezza dei suoi colori. E gettai il manto regale intorno a tutta la mia persona. Così rivestito, salii alla porta della salvezza e dell'adorazione. Inchinai la testa e adorai lo splendore di mio Padre che me lo aveva mandato, i cui comandi avevo adempiuto perché anch'egli aveva mantenuto ciò che aveva promesso. Mi accolse gioiosamente ed ero con lui nel suo regno, e tutti i suoi servitori lo lodarono con voce di organo, cantando che egli aveva promesso che avrei raggiunto la corte del Re dei Re e avendo portato la mia Perla sarei apparso insieme a lui».



Descrizione

Il "Canto della perla", compreso negli Atti apocrifi dell'apostolo Tomaso, è universalmente considerato il capolavoro della poesia religiosa gnostica; ma è anche un testo fondamentale della storia delle origini cristiane e l'essenziale anello di congiunzione fra il cristianesimo e la religione di Mani.

Bio:
Pietro Citati (Firenze, 20 febbraio 1930) è uno scrittore, saggista, critico letterario e biografo italiano.

Nato a Firenze da una nobile famiglia siciliana, trascorre l'infanzia e l'adolescenza a Torino, dove frequenta l'Istituto Sociale e in seguito il liceo classico Massimo d'Azeglio. Nel 1942, durante la guerra, si trasferisce con la famiglia in Liguria. Si laurea nel 1951 in Lettere moderne alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Incomincia la sua carriera di critico letterario collaborando a riviste come Il Punto - dove conosce, tra gli altri, il giovane Pasolini - L'approdo e Paragone.

Dal 1954 al 1959 insegna italiano nelle scuole professionali di Frascati e della periferia di Roma.
Negli anni Sessanta scrive per il quotidiano Il Giorno. Dal 1973 al 1988 è critico letterario del Corriere della Sera; dal 1988 al 2011 de la Repubblica; dal 2011 al giugno 2017 scrive recensioni letterarie per il Corriere della Sera. Il 28 luglio 2017 riprende a pubblicare su La Repubblica.

Scrittore poliedrico, si è cimentato con successo nella saggistica e nella biografia letteraria di grandi scrittori (Alessandro Manzoni, Kafka, Goethe, Tolstoj, Katherine Mansfield, Giacomo Leopardi ecc.). Varie sue pagine sono dedicate anche ai miti dei popoli antichi e della grecità (Omero innanzi tutto), alle dottrine religiose e filosofiche come l'Ermetismo.
Nel 2002 lo scrittore spagnolo Javier Marías, Re di Redonda, lo ha nominato Duca di Remonstranza. Nel 1984 vinse il Premio Strega con la biografia di Tolstoj, edita da Longanesi.