C'è un luogo letterario dove gli eventi dell'esperienza umana assumono una risonanza profonda, tanto da accedere, nei casi migliori, a una dimensione quasi epica, mantenendo allo stesso tempo la concretezza e la vicinanza stretta agli elementi naturali. Quel luogo letterario è il Sud degli Stati Uniti, culla di tanti capolavori che nulla hanno perso della loro forza, e mai la perderanno, per le ragioni sopra citate. Sul solco di questa tradizione si pone Tutti i viventi, opera d'esordio della giovanissima Catherine E. Morgan, uscita nel 2010, salutata dalla critica come opera di grande maturità espressiva.
Protagonista del romanzo è la giovane Aloma, un'orfana cresciuta "in un luogo buio, in una contea buia di uno stato buio"; la ragazza sogna la fuga e la libertà, che per lei coincidono con la scoperta della musica e con il sogno di diventare una pianista. A scompigliare i piani di Aloma arriva un ragazzo taciturno, Orren, dagli occhi chiari segnati da rughe e la voce incolta. Lui la porta via sul suo furgone al tramontare del sole per lunghi giri fra le campagne, nei quali i due ragazzi sperimentano un po' maldestramente la fusione dei corpi con un'urgenza scarna di parole, come il paesaggio arso dal sole:
("si avvinghiavano, i corpi spogliati dagli abiti, le bocche aperte verso l'altro come uccellini implumi, e in quella fusione non pensavano al tempo, non pensavano alle differenze").
("si avvinghiavano, i corpi spogliati dagli abiti, le bocche aperte verso l'altro come uccellini implumi, e in quella fusione non pensavano al tempo, non pensavano alle differenze").
Quando la famiglia di Orren viene sterminata in un terribile incidente automobilistico, il ragazzo chiede ad Aloma di seguirlo nella fattoria dei genitori, e di aiutarlo nella gestione della piantagione di tabacco della quale è ormai unico responsabile. I due giovani si ritrovano all'improvviso alle prese con qualcosa di più grande di loro, in una casa cadente dove uno dei due si sente legato indissolubilmente al ricordo dei cari, che occhieggiano dalle foto incorniciate, straziato ma ruvidamente radicato in quella terra scabra, "sbiancata sotto il sole in una polvere gessosa", e l'altra si sente prigioniera, privata ingiustamente dei sogni della giovinezza. La nuova vita della ragazza amante della musica è fatta di giornate che si susseguono tutte uguali tra la fatica estenuante del lavoro e il silenzio opprimente della solitudine, laddove esplode la violenza di un gallo impazzito che artiglia entrambi i ragazzi, simbolo di una natura ostile e difficile da domare, e anche il sesso fra i due, nel letto matrimoniale che fu dei genitori, si fa sempre più rabbioso:
("lo spinse via scocciata, e, per un istante, ebbe la voglia sfrenata di colpirlo sul viso e sul petto per averla trascinata lì, al misero margine delle montagne, l'unico posto al mondo che avrebbe voluto lasciarsi alle spalle, dove non c'era nulla che funzionasse, dove tutto si consumava fino all'osso.").
("lo spinse via scocciata, e, per un istante, ebbe la voglia sfrenata di colpirlo sul viso e sul petto per averla trascinata lì, al misero margine delle montagne, l'unico posto al mondo che avrebbe voluto lasciarsi alle spalle, dove non c'era nulla che funzionasse, dove tutto si consumava fino all'osso.").
L'inquietudine di Aloma la spinge a tentare una fuga oltre i confini della proprietà, in una chiesa locale dove conosce il pastore della comunità, Bell, colui che le offre la possibilità di suonare l'amato pianoforte. La ragazza si sorprende a vagheggiare un sogno d'amore insieme al pastore, amore che sia più corrispondente alla sua natura intima e ai suoi sogni. Desiderio di fuga che si rivelerà illusorio. In un finale bellissimo, lento, dalle cadenze quasi bibliche, Aloma realizza quanto lei e Orren siano legati in modo profondo e oscuro, per un bisogno reciproco che entrambi non riescono a decifrare completamente, ma che, semplicemente, si impone. Perchè forse vivere è l'accettazione del proprio destino, un destino che si lega strettamente a quello di tutti i viventi, come dice il versetto dell'Ecclesiaste posto in apertura del romanzo:
"Questo è un male in tutto ciò che si fa sotto il sole: hanno tutti la stessa sorte, e inoltre il cuore dei figli degli uomini è pieno di malvagità e la follia risiede nel loro cuore mentre vivono, poi se ne vanno a morte. Finchè uno è unito a tutti i viventi c'è speranza, perchè un cane vivo val meglio di un leone morto."
"Questo è un male in tutto ciò che si fa sotto il sole: hanno tutti la stessa sorte, e inoltre il cuore dei figli degli uomini è pieno di malvagità e la follia risiede nel loro cuore mentre vivono, poi se ne vanno a morte. Finchè uno è unito a tutti i viventi c'è speranza, perchè un cane vivo val meglio di un leone morto."
Echi di Curson Mc Cullers e di Flannery O' Connor, si è detto a proposito della Morgan, ma anche echi faulkneriani, nella rappresentazione di un luogo ai confini del mondo, nell'attenzione a personaggi marginali e perdenti alle prese con il mistero dell'amore, del dolore, della morte. E' una grazia poetica aspra, quella della Morgan, una scrittura, la sua, di precisissimo nitore, attenta a ogni singolo dettaglio concreto dell'esperienza umana. L'autrice riesce a trasmettere al lettore contemporaneo, immerso nell'acquario della società "liquida", la sensazione precisa dell'importanza della fatica, del sudore, del sesso; il valore ineliminabile del contatto diretto con il reale.
Laura Anfossi
C. E. Morgan, Tutti i viventi (All the living) - Einaudi Supercoralli, 2010