Video elaborato e caricato su Youtube per il compleanno di Giampiero Vigorito (6 Novembre),
uomo saggio e giornalista sensibile che ci aprì le porte di questo scrigno.
PREFAB SPROUT - "Steve McQueen" (Kitchenware 1985) di Giampiero Vigorito
Questo disco è troppo bello.. Troppo bello per sporcare i suoi suoni con qualche spicciolo di chiacchiera, troppo toccante per rischiare d’incrinare quella sottile lastra di benessere che copre ancora le nostre emozioni, troppo puro per accendere solo cinque stellette.
I Prefab Sprout sono degli angeli caduti. Li abbiamo raccolti, gli abbiamo stirato le ali un po’ spiegazzate, abbiamo atteso che riprendessero a vibrare. E subito, le prime sillabe, ci hanno prodotto un senso di vertigine che non riusciamo ancora a smaltire. Paddy McAloon è un genio. Un genio che canta come un bambino che, avendo da poco scoperto d’avere una voce soave, vocalizza immediatamente, con naturalezza, senza alcuna forzatura.
Prende il suo tempo, lo culla sulle ginocchia, dispensa una gioia profonda anche quando indugia su una parola o quando lo si scorge intento ad attizzare quella subito seguente. La sua voce si avvolge attorno a qualche linea di basso, morbida e profonda come delle impronte sulla neve fresca; alita contro un cristallo che sta per andare in frantumi e vi disegna sopra delle figure infantili. Poi si getta in ui momento su una chitarra come se si dovesse aggrappare ad una pertica che lo salvi dal precipizio, riprende il tono bruscamente e, infine, ricade in piedi con la grazia di una ballerina. Quello che ne viene fuori sono undici canzoni, undici stati d’animo, altrettante carezze portate da una mano a forma di cuore. Questo disco è troppo bello.
Un disco concepito e registrato in uno stato di grazia in cui si è assaporata la gioia dei grandi disegni partendo da quel gusto un po’ acre che ha la mina di un lapis tra le labbra. La sua bellezza è una promessa di felicità. Una moneta coniata di fresco che viene fatta circolare senza mai farsi prendere dalla smania di accumularne un gruzzolo da una parte. E la musica non poteva che rappresentare questa prodigalità di fondo: le idee che corrono veloci, gli strumenti che intagliano ad una ad una le corde del sentimento, la voce di Paddy MacAloon che mostra la pelle d’oca sotto la brezza vocale di Wendy Smith, gli arrangiamenti e la produzione di Thomas Dolby che riescono a trarre il massimo equilibrio dalle forme più alte.
Credo che «Steve McQueen» sia stato registrato su un cuscino d’aria, a metà strada tra la terra e il paradiso. E questa linea immaginaria che i Prefab Sprout hanno tracciato davanti a loro è la stessa che ci spezza ancora il cuore in due. In questo album non ci sono fiori nei fucili, nessun ideale romantico da sbandierare, nessuna posa per inscenare una commedia di falsi attori. Sarebbe facile trascurarlo con il pretesto che questa musica sviluppa la sua bellezza in profondità senza mai farla esplodere. Paddy McAloon preferisce la candida fantasia della propria immaginazione alle panoplie «conformi» del prototipo rock. C’è del narcisismo in lui, è certo, ma nessun compiacimento nei Prefab Sprout in questo modo così prezioso di esporre delle canzoni tanto belle quanto accessibili. Qui la musica si fa così; con i mezzi toni, il lirismo dilagante, gli ornamenti di chitarre e di tastiere, le scosse funk temperate dal folk panoramico, il jazz liquoroso diluito nel grande calice del pop. Pochi gruppi provocano attualmente tanti brividi come i Prefab Sprout.
Quando Paddy McAloon graffia con una sola unghia Lloyd Cole e Morissey, Steely Dan e Aztec Camera, lo fa con una strizzatina d’occhio divertito piuttosto che per un debito da saldare. Il suo gruppo non deve niente a nessuno se non a se stesso. Paddy McAloon non vuole essere un eroe alla moda o una di queste effigi in cemento per affamati di scariche elettriche. Egli è semplicemente un giovane drammaturgo moderno capace di estrarre anche dalla poesia più semplice le emozioni più alte e genuine. Quello che solo lui riesce a creare è quello spasmo cardiaco che trova nell’intelligenza la sua unica cassa di risonanza possibile. Qualcosa di ardente e di triste, di caldo e di emozionante, di bello, di troppo bello.
«Swoon» era un disco che faceva sognare, che produceva voluttà e tristezza in maniera confusa e per questo ancora più grande. Ora «Steve McQueen», con il suo ribellismo languoroso, il suo continuo vento che ti pizzica le guance mentre corri solitario su una vecchia Triumph è riuscito ad andare ancora oltre. Il suo messaggio implicito è che la bellezza, senza dubbio, non fa le rivoluzioni; ma che viene un giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno della bellezza. Questo disco non è una rivoluzione, ma vedrete che si finirà per arrivarci.
Giampiero Vigorito (Rockstar, 1985)
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«Vivo per scrivere, è l’attività più piacevole che conosca.
La possibilità di creare qualcosa dal nulla mi fa ancora venire i brividi. Se
non posso scrivere, ho attacchi di ansia e non riesco a rilassarmi. Credo sia
l’unica cosa che giustifichi la mia presenza sulla terra. È una nevrosi. Non
sarei capace di fare altro. Mi piacerebbe avere l’autosufficienza di quelle
persone che possono sedersi in pace a godersi una giornata tranquilla e
riflettere sulle cose. Dovrei essere picchiato per arrivare a quello stadio. Ma
sono felice così. Perché c’è sempre la possibilità che un giorno, attraverso
una combinazione di abilità e di fortuna, possa uscire fuori la sequenza di
accordi di una melodia che aggira l’intelligenza e colpisce il sistema nervoso.
La maggior parte dei critici musicali è fissata con l’analisi dei testi.
È del tutto fuorviante spezzare in due il brivido della scrittura e quello
della musica. La magia è al di là del puramente verbale. Con le parole potrebbe
significare una cosa, con la voce un’altra.
Una parola può avere un significato se si ascolta la voce di Leonard Cohen, ma
potrebbe suonare completamente diversa attraverso quella di Marvin Gaye o Paul
McCartney. Le canzoni come quelle di Bacharach sono una tregua per uscire dal
groviglio delle incomprensioni. Magari ti aiutano a capire che quell’attacco di
ansia serviva davvero a qualcosa».
(Il leader dei Prefab Sprout, che ha passato l’infanzia a fare il benzinaio e a spiegare la strada agli automobilisti, questa volta indica un’altra direzione.)
(tratto da: Burt Bacharach - The Book of Love, Nella vita e nei ricordi del più grande genio del pop, di Giampiero Vigorito, Coniglio editore 2008)
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Giampiero Vigorito |
Giampiero Vigorito nasce a Roma il 6 novembre 1956 ed inizia la sua carriera giornalistica nel 1977, quando entra come collaboratore nella rivista musicale Popster, allora diretta da Carlo Massarini. Per molti anni, dal 1983 al 1994, ha condotto Stereonotte, il programma notturno di Radio Rai. Ha lavorato anche in network radiofonici come "Radio Kiss Kiss" e "Radio Città Futura".
Nel 1981 è stato coautore per "L'Enciclopedia del Rock" di Teti Editore, ha pubblicato il libro "Genesis" con la Gammalibri nel 1982 e ha collaborato a "La Grande Enciclopedia di Rockstar" del 1987.
Dal 1994 al 2001 ha diretto il mensile musicale Rockstar.
In televisione è stato ospite di "Quelli della Notte" e ha collaborato ai testi per i programmi di Renzo Arbore "DOC Offerta Speciale" e "International DOC Club".
Dal 2001 ha presentato sulle tre reti radiofoniche della Rai trasmissioni come "Radiouno Music Club", "Zona Cesarini", "Storyville", "Fuochi", "Baobab", "Prima del Giorno", "File Urbani" e, di recente, "Passsioni" e "Vite Che Non Sono La Tua". Nel 2012, in occasione delle Olimpiadi di Londra, ha scritto e condotto su Radio3 in 20 puntate il programma quotidiano "Leggende Olimpiche"; esperienza ripetuta due anni dopo con un ciclo di trasmissioni questa volta dedicato ai Mondiali di Calcio in Brasile intitolato "Leggende Mondiali". Anche nell'estate del 2016, a ridosso delle Olimpiadi di Rio, ha ripreso il suo format "Leggende Olimpiche" su Radio3 in un nuovo ciclo di 16 puntate.
Nel 2008 ha pubblicato per la Coniglio Editore il libro "Burt Bacharach - The Book of Love". Nel 2014 ha curato il libro "Xena Tango - Le Strade del Tango da Genova a Buenos Aires" all'interno di un progetto musicale realizzato da Roberta Alloisio, il bandoneonista argentino Walter Ríos e il premio Oscar Luis Bacalov, pubblicato dall'etichetta Compagnia Nuove Indye.
Dal 2013 è docente del Master in critica giornalistica (cinema, teatro, televisione, musica) dell'Accademia d'Arte Drammatica Silvio D'Amico di Roma.
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