Colui
il quale si convince di comprendere, fin troppo a fondo, il mondo,
improvvisamente o per gradi, si rende conto che l’acquisizione di
tale coscienza è vana.
Rincorrendo
questa vanità si lasciano le terre conosciute e sicure. Incomincia
così l’anti-epopea di David, il suo addentrarsi nelle terre
selvagge. In questo altro mondo gli orpelli vanno persi, le gerarchie
di ieri, i valori quantitativi e la fede in una formula narrativa
diacronica si dissolvono. Sarcasmo, apparente senso di superiorità e
falso cinismo precipitano in semplice disperazione. Ecco allora
incombere sui piccoli l’ombra poderosa di Dio.
Qualcosa
del genere è quanto ho tratto dalla lettura di Vergogna, il romanzo
di J.M.Coetzee.
Forse
Vergogna è un romanzo sulla presenza di Dio, presenza fatta di
prepotente assenza. Può darsi sia un romanzo su un tale che invita
il sommo fattore a venir fuori, a farsi avanti: convinto che il senso
del tutto si possa dispiegare lungo la narrazione di ognuno di noi
(come si stende un tappeto in un corridoio), scopre con amarezza che
non è così, imparando, infine, che il suo rappresentarsi è invece
più simile ad un’epifania, ad uno squarcio impietoso sulla realtà.
Il senso profondo di Dio, scoprirà David, irrompe come uno scandalo,
apre una breccia sulla trama che il protagonista ha costruito di sé.
“David
gode di buona salute, la sua mente è lucida. Di professione è – o
è stato – uno studioso, e l’erudizione, a tratti, lo avvince
ancora. Vive nei limiti del suo reddito, nei limiti del suo
carattere, nei limiti delle sue capacità sentimentali. È felice?
Secondo i normali criteri di valutazione, sì, ne è convinto. Ma non
ha dimenticato l’ultimo coro dell’Edipo: non dire di un uomo che
è felice finché non è morto.”
Il
protagonista della storia non vuole più far parte di quel luogo
rassicurante, rappresentato dalla sua classe di riferimento, la
borghesia colta di un paese tuttavia votato alla frontiera. Avverte
di aver perso l’originario senso di unicità e intraprende dunque
un’azione di rottura. La risposta alla noia è la sfida.
“[…]
non c’è stata premeditazione. È cominciata come un’avventura,
una di quelle piccole avventure insperate che capitano agli uomini di
un certo tipo, che capitano anche a me e mi fanno sentire vivo. Mi
scusi se ne parlo in questo modo, ma voglio essere franco.”
E
così la storia di Coetzee affonda nel dilemmatico rapporto che lega
l’individuo alla massa. Il protagonista intuisce che qualcosa in
lui va perdendosi, qualcosa a cui deve opporsi. L’intelligenza, la
cultura, il riconoscimento sociale si rivelano come inutili orpelli
nello scontro per l’emersione dall’indistinto. La massa (sia
essa intesa come ceto, etnia o genere) è l’indistinto, ciò che
agisce verso il singolo individuo, l’agente che pretende da lui la
capacità di fondersi in soluzione. Il problema narrativo nasce
quando si inceppa questa possibilità di soluzione, quando la labile
alchimia si rompe. David allora compie un atto che tradisce il suo
ruolo, ha una relazione con una sua studentessa. Così prende piede
Vergogna.
Egli
abbandona quindi il mondo civilizzato, dove la vera natura di un uomo
può essere nascosta a lungo, anche la vigliaccheria e l’incapacità
di ribellarsi fino in fondo.
“David
parla italiano, parla francese, ma né l’italiano, né il francese
lo salveranno nel cuore dell’Africa nera. È inerme, una specie di
personaggio da vignetta, un missionario in tonaca e casco coloniale
che aspetta, mani giunte e occhi al cielo, mentre i selvaggi
blaterano il loro idioma incomprensibile, preparandosi ad immergerlo
nel calderone bollente. Il lavoro missionario: che cosa ha lasciato
quell’immensa impresa di nobilitazione dell’uomo? Niente, si
direbbe.”
Mentre
leggevo Vergogna, mi è più volte tornato in mente un discorso che
una volta mi fece un terapeuta dei mali dello spirito, una metafora
che chiamava in causa il mondo dei lupi. Esistono tre tipi di lupi,
mi disse: il maschio alfa, il gregario e il lupo solitario. Il primo
conquista la supremazia sugli altri usando qualunque mezzo, tuttavia
è costretto a piegarsi alle regole che strutturano il branco, lo
deve fare comunque. Per quanto grande possa essere il suo potere, non
potrà in ogni caso risparmiargli l’istintiva certezza che, presto
o tardi, giungerà un nuovo maschio alfa che lo vincerà. I gregari,
intanto, lottano per occupare i gradini di un mondo gerarchico, ma
evitano lo scontro con il maschio dominante, a meno che non avvertano
i segni propizi all’usurpazione della sua posizione. Nel loro mondo
inesatte valutazioni possono costare care. Infine viene il lupo che
vaga da solo. Tenendo d’occhio il branco, si muove a distanza
ravvicinata e attende il momento giusto per violare l’harem del
maschio dominante: sperando in una sua distrazione, ingraviderà le
femmine. L'intraprendenza del lupo solitario, quindi, salva il branco
dai rischi del sangue stanco. Quale di queste categorie potrebbe
riferirsi a David?
“E
così è arrivato, il giorno della prova. Senza preavviso, senza
fanfare, eccolo lì, e lui ci è dentro. Il cuore gli martella il
petto con tale violenza che persino quell’organo ottuso deve aver
capito. Riusciranno, cuore e proprietario, a superare la prova?”
Il
trauma accade d’improvviso, senza che David lo possa prevedere. Due
nativi adulti e un ragazzino irrompono nella casetta colonica della
figlia Lucy: è violenza.
“È
sul pavimento del bagno, il bagno della casa di Lucy. Stordito riesce
a mettersi in piedi. La porta è chiusa, la chiave sparita. Si siede
sulla tazza e cerca di riprendersi. La casa è silenziosa; i cani
abbaiano, ma più per dovere, si direbbe, che per la smania di
mordere.”
Se
nel mondo intellettuale, a cui David apparteneva, la posizione del
lupo solitario poteva essere considerata come una scelta avventurosa,
dignitosa, carica di possibilità, quando questo mondo viene
abbandonato, l’uomo bianco di città è posto di fronte alle
concrete conseguenze di tale scelta.
“La
giornata non si è ancora spenta, anzi è viva e vegeta. Guerra,
atrocità: questa giornata inghiotte nella sua gola nera qualunque
parola si usi per cercare di impacchettarla.”
I
fatti narrati da Coetzee mettono in crisi le vite in cui non si sono
prese delle posizioni nette, coerenti con il contesto in cui si vive.
In questa storia si smascherano tante forme di dissimulazione della
debolezza, mettendo a nudo l’insufficiente potere barbarico del
protagonista, la sua incapacità di affermarsi. Se nel mondo urbano e
intellettuale, che ha abbandonato, le occasioni di confronto brutale
potevano essere evitate, così non accade nella nuova realtà in cui
giunge.
La
scelta di vita solitaria, a cui David approda, si potrebbe forse
ricondurre all’insufficienza di forza brutale necessaria al
rovesciamento del maschio alfa, è forse questa la ragione per la
quale odia i gregari: loro rappresentano quella debolezza di cui non
si riesce a liberare. Fatto sta che David, in qualunque condizione, è
tagliato fuori dal branco.
In
Vergogna il tempo è una variabile interessante; il protagonista
infatti cerca le motivazioni utili all’azione riferendosi anche
all’unità di tempo percepita. Ecco perché David guarda di
continuo al mondo degli animali; non comprendendo appieno il mondo
degli uomini, fantastica sulla condizione di questi esseri, in
qualche modo anela alle loro risorse. Il cervello animale, a cui
David si affida per la sopravvivenza, ragiona solo su coordinate del
qui e ora. Quando si crea una necessità, un allarme, un’informazione
ambientale quest’organo risponde subito e adeguatamente. Mette in
moto succhi, umori e tensioni, preparando la macchina alla guerra.
Ciò nonostante i guai nascono quando entrano in gioco i filtri delle
emozioni umane, e David è suo malgrado un uomo; ecco allora il lungo
rettile del tempo muovere le sue spire, e l’uomo sgomento,
percepisce nel qui e adesso l’irruzione del passato. Questa lunga
biscia atavica, cresciutaci dentro fin dal nostro concepimento, si
muove stimolata da ciò che percepiamo, creando delle anse fra le sue
spire, che, dalla percezione animale, sono falsate come appartenenti
al qui e ora. Esse però non sono altro che echi del passato, appena
percepibili eppure potenti. Il loro innesco è causato da un fenomeno
di risonanza, (come risuonano fra loro le corde di una chitarra):
l’emozione di un vissuto lontano irrompe in un’epifania
sincronica. In un attimo David, cinquantaduenne, ritorna un bambino
abbandonato, o forse un vecchio, debole e indifeso.
“Il
tremito e la debolezza non sono che i segni iniziali e più
superficiali del trauma. Ha la sensazione che dentro di lui sia
rimasto contuso e ferito un organo vitale, forse addirittura il
cuore. Per la prima volta ha un assaggio della vecchiaia, quando
diventerà un uomo spossato, senza speranze, senza desideri,
indifferente al futuro.
Abbandonandosi
su una sedia di plastica in mezzo al puzzo di piume di pollo e mele
marce, sente l’interesse per il mondo defluirgli dal corpo goccia a
goccia. Forse ci vorranno settimane, anche mesi, prima di restare
dissanguato, ma il fluido vitale sta fuggendo. E quando questo
processo si sarà compiuto, di lui non resterà che l’involucro di
una mosca in una ragnatela, fragile al tocco, più leggero della
pula, pronto per essere trascinato per altri lidi.”
Penso
che Vergogna tracci il percorso di una peregrinazione di un uomo, che
non trova la forza di affrontare la realtà relazionale, che non
vince l’horror vacui e non si abbandona al tuffo dentro al magma
del sé. Forse solo alla fine intuisce che il riscatto può avvenire
nel riconoscimento dell’altro, ma questa possibilità gli sfugge
ancora.
“Ama
sua figlia, ma ci sono momenti in cui vorrebbe che fosse una creatura
più semplice: più semplice e più schietta. L’uomo che l’ha
violentata, il capobanda, era così. Come una lama che taglia il
vento.”
Davide Ferreri
Vergogna (Disgrace), di J. M. Coetzee, Einaudi (2000) (trad. di Gaspare Bona)
Bella recensione. Comunica un senso di tristezza, come immagino lo comunichi il libro, ma bella. Bella perche' parla di noi. Scoprire che non si comprende, o conosce tutto quello che si pensava e' umano. Leggero' il libro.
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