Antichrist (Antichrist), di Lars Von Trier (2009)
Il figlio di una coppia muore tragicamente, cadendo da una finestra rimasta aperta, mentre i due genitori stanno facendo l'amore. Il marito, psicoterapeuta, decide di aiutare personalmente la moglie a superare il trauma, pur conscio della non ortodossia del comportamento. I due decidono di ritirarsi in una casa nel bosco di Eden allo scopo di vincere e superare le paure recondite della moglie, legate alla presunta malignità della natura. Il percorso terapeutico porta a svelare l'ambiguità della donna, che aveva passato l'estate precedente con il figlioletto proprio a Eden, per scrivere una tesi sulla persecuzione delle donne identificate come streghe. Quando il marito scopre le pulsioni distruttive della moglie, la vicenda diventa follemente tragica e si consuma in una spirale di crescente violenza semi-cosciente.
Regista: Lars von Trier
Sceneggiatura: Lars von Trier
Stars: Willem Dafoe, Charlotte Gainsbourg, Storm Acheche Sahlstrøm
LUI (Willem Dafoe) e LEI (Charlotte Gainsbourg) sono marito e moglie, mentre fanno l’amore il figlio molto piccolo precipita da una finestra lasciata aperta. Il dolore e il senso di colpa è fortissimo, LEI cade in una depressione popolata da incubi e, al risveglio da uno dei peggiori, il marito psicanalista le domanda :“Cosa stavi sognando?” “Il bosco” “E’ strano perché tu eri quella che voleva sempre andare nel bosco. Cosa ti fa paura del bosco, cosa ti spaventa?” “Tutto quanto” “Dimmi cosa pensi che ti possa capitare nel bosco” “Eden”. LUI quindi decide di portarla nell’Eden, una baita immersa nel bosco, dove lei mesi prima, in compagnia del bambino, ha preparato la sua tesi di laurea sulla stregoneria.
Si è parlato di un lavoro nato per curare la depressione in cui era caduto Lars Von Trier, ma il risultato è ben lontano dall’essere un vaso colmo di spleen accessorio, dove sono delegate le brume di una fase cupa; piuttosto pare abitato da tutta la cosmogonia del regista danese. Dentro c’è tutta la sua maestria, la sua pittura, la sua letteratura, le sue visioni, i suoi omaggi (il film è dedicato a Tarkovskij) e soprattutto la sua maestosa abilità nel domare strutturalmente questo sfarzo di materiali. Si guardi il ralenty estenuante della camminata nel bosco: lentissima, effettuata con una macchina da presa speciale, così pigra da sembrare una fotografia, così lenta da innescare i nostri neuroni, accendere il nostro sguardo su ogni punto dell’inquadratura per l’assenza di movimento: “Io faccio sempre lo stesso film, racconto le mie paranoie e fissazioni (come il sesso) che sono le stesse di quando ero un ragazzino: cambio solo la forma, il genere cinematografico...Cambio anche le identità esterne dei personaggi: mi hanno sempre accusato di misoginia e in Antichrist “lei” si interessa della persecuzione delle streghe, ho seguito per un po’ la terapia cognitiva e “lui” è un analista...Le mie opere dicono che l’uomo vuole essere stupido e che, riuscendoci, distrugge ogni cosa. Per quanto riguarda il mio “ritrovarmi” nei personaggi femminili, penso dipenda da come ci si sente all’interno delle categorie e dei ruoli sessuali: sinceramente, io mi sento femminile per la sensibilità e l’attenzione alle emozioni umane. Non ho idea da cosa dipenda, dovrei indagare nella mia storia familiare e personale e non voglio farlo. So che è così fin dai primi titoli, anche se - passatemi il termine - con gli anni penso di essere “penetrato” sempre più nella psicologia femminile. Mi trovo anche molto bene con le mie attrici, in genere...”(L. Von Trier)
E’ il film stesso che trasuda femminino da ogni immagine. Ferisce nel rovo delle mille spine determinate dalla splendida fotografia iper-risoluta, acquieta nel ventre caldo, persuasivo, dei campi lunghi e nei meraviglioso giochi e rimandi pittorici: Bosch, Bruegel, Durer, Dorè.
“Definire Von Trier misogino è stupido. Tutto quello che faccio nel film volevo farlo, e mentre lo facevo ne ero assolutamente consapevole. Sono convinta che il mio personaggio sia il riflesso di Lars. Non mi ci sono proiettata; la perdita di un figlio sarebbe stata insopportabile per me. E’ in Lars che mi sono proiettata.” (C. Gainsbourg)
LUI e LEI non hanno nome, interessano solo in quanto esseri umani con le loro reazioni, sono due perfetti archetipi. La naumachia tra uomo e donna è la battaglia di Von Trier stesso: la sua lucida razionalità di intellettuale contro la sua sensibilità straziata di artista. “Io sono lui, nel film: Lars è “lei”. I problemi fisici e psicologici e il panico che io/”lei” sentiamo sono i suoi. Credo sia per questo che mi sono unita completamente, affidata totalmente a lui. E ho spesso avuto l’impressione che a lui succedesse la stessa cosa. Con Von Trier sul set non hai la sensazione di lavorare: non provi, non ripeti le scene, non hai una sceneggiatura, se gli fai domande non risponde, non discute con te del film. E questo è bello, ti lascia molto più libera alla fine. Per esempio ho iniziato a “studiare” solo quindici giorni prima di cominciare le riprese.” (C. Gainsbourg)
Il senso di staticità e immobilità di cui è pervaso il film è altresì segno dell’inattuabilità di giungere ad una espiazione attraverso le pastoie di un dolore comune; la coerenza logica, la scienza, di LUI non argina la piena emotiva, ancestrale, di lei : il Caos regna. Una volpe parla, una cerva dà alla luce un cucciolo già morto, le ghiande piovono minacciose sul tetto dell’Eden e gemmano sulla carne di LUI. LUI e LEI entrano in un altro luogo dove a governare sono le forze del male, l’incomunicabilità, la radice di una dissonanza primigenia.
Quando lui viene circondato da un brulicare di donne senza volto (streghe?), sono giunte a salvarlo o a condannarlo? Dobbiamo redimerci o resistere alla potenza, alla febbre, alla voglia di un diluvio amniotico che ci riporti nel grembo di Madre Natura? L’Anticristo è l’uomo che non si libera del suo raziocinio per essere invaso, tracimato, immerso nella sensualità femminile e istintiva della natura?
La grandezza di questo film risiede nell’esistenza di un autore che finalmente, dentro una scatola formale perfetta, non argomenta di basse contese tra uomini, lotte per possessi, dolori contingenti, minima moralia (come se poi ci fossero vincitori e vinti…), il regista danese mira più in alto, dove è facile essere derisi o travisati, essere scambiati per Barabba. Ma in tutta questa canicola di voci (sincere o prevenute), risalta, senza ombra alcuna, la sua grandezza stilistica, il suo approcciare il mezzo cinematografico con una capacità visionaria al contempo classica e modernissima, chiusa in alcune forme narratologiche eppure aperta (a film terminato l’Eden è ancora lì, quella natura vischiosa e onnivora continua a germogliare e trasformare), sfruttando tutte le possibilità dinamiche dell’inquadratura come sanno fare pochi altri.
Come le streghe del “Macbeth”, Lars, coadiuvato da due attori incredibili, ci prepara un brodo infernale:
"PRIMA STREGA: Tre volte il gatto-tigre ha miagolato.
SECONDA STREGA: Tre volte e una il riccio ha mugolato.
TERZA STREGA: L'arpia grida: E' l'ora, è l'ora."
Gorgoglia il suo immenso calderone, e questa miscela stregonesca è folta, densa e fantastica. Corposa è la sua violenza espressionista con cui si impossessa voracemente della ferita tra uomo e donna e ne dà un equivalente: non c’è scorcio o un parziale, ma un eterno “primo piano interiore” dedicato al nostro mistero come esseri umani. A fine film abbiamo l’impressione che, se chiudessimo per un istante gli occhi, ci sentiremo sprofondare, intrappolati nel ventre di una verde Madre Natura, avvinghiati a tutto quello che abbiamo amato e che non abbiamo compreso appieno. “ Lars è accusato di puntare alla cieca provocazione, fine a se stessa? Lars è un autore... Per quanto mi riguarda io non mi faccio domande: mi basta sapere cosa vedo, cosa mi accadrà, cosa mi succede intorno...sì il mio cervello è aperto a tutto. Io sono la storia, perché dovrei sapere altro? Credo sia questione di autoconsapevolezza, in questo modo mi sento un po’ meno responsabile e un po’ più libero. Perché dover motivare tutto? Nel mondo ci sono anche cose bellissime che è impossibile spiegarsi. Come risponde Bob Dylan in un documentario su di lui, a chi gli chiede insistentemente le motivazioni di un brano, «è una canzone, la mia canzone». Chi non coglie questa soggettività, uccide la poesia.” (W. Dafoe)¹
Postilla iconografica: Stanco e malato, mentre era a Nizza, Edvard Munch rammenta con lucidità l'attimo in cui è germinata l'idea de 'L'urlo': "Camminavo lungo la strada (in un punto panoramico di Oslo chiamato Ekeberg) con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse improvvisamente di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad un recinto. Sul fiordo nero-azzurro e sulla città c'erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la Natura."
Voto: 9
Luca Tanchis
Note:
¹ (Tutte le dichiarazioni di Lars Von Trier, Willem Dafoe e Charlotte Gainsbourg sono tratte dalla rivista Duellanti, ottobre 2009)
¹ (Tutte le dichiarazioni di Lars Von Trier, Willem Dafoe e Charlotte Gainsbourg sono tratte dalla rivista Duellanti, ottobre 2009)
Complimenti per questopost e per come li edifichi, in generale.
RispondiEliminaIo sono uscita da questo film sconvolta, camminavo e avevo le macchie di nero nei polmoni e tutte voci e luci lucide nelle tempie. Avevo la sofferenza quella urlante, com'è. E per questo mi è piaciuto tantissimo, va a fondo a fondo a fondo nel nero.
Miao!
Elx
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