Annie riusciva a scorgere abbastanza facilmente l’imminente catastrofe. Tutto ciò che doveva fare era guardare lo schermo della televisione. Qualsiasi canale... non aveva importanza... lei poteva fare assegnamento sul fatto di vedere una donna che reggeva un microfono ricoperto di gommapiuma nera e che pronunciava un discorso retorico di questo tipo:
«Dentro questa modesta casa di periferia ben tenuta c’è Annie Glenn, moglie dell’astronauta John Glenn, che partecipa all’ansia e all’orgoglio del mondo intero in questo momento di tensione, ma in un modo assai riservato e assai cruciale che lei sola può comprendere. Un’unica cosa ha preparato Annie Glenn a questa messa alla prova del suo stesso coraggio e la sosterrà attraverso questo esame, e quest’unica cosa è la sua fede: la sua fede nelle capacità del marito, la sua fede nell’efficienza e nella dedizione delle migliaia di ingegneri e altro personale che si sono occupati del suo sistema di controllo.., e la sua fede in Dio Onnipotente...».
Nell’immagine sul teleschermo tutto quello che potevi vedere era quella donna della televisione, con il microfono in mano, che stava in piedi tutta sola davanti alla casa di Annie. Le tende erano tirate, un po’ inspiegabilmente, in quanto erano le nove del mattino, ma tutto appariva molto accogliente. In realtà, il prato, o ciò che ne era rimasto, pareva la Città della Follia. C’erano tre o quattro unità mobili delle reti televisive con cavi che passavano in mezzo all’erba. Era come se Arlington fosse stata invasa da tostapane giganti. Quelli della televisione, con tutti i loro capoelettricisti, fattorini, puttanelle al seguito, cameraman, accompagnatori, tecnici ed elettricisti, facevano avvampare bulbi oculari da duecento watt e rimbalzavano l’uno sull’altro e sulla calca riunitasi di reporter, corrispondenti radio occasionali, turisti, sfaccendati, poliziotti e curiosi idioti freelance. Tutti si sporgevano e si dimenavano e roteavano gli occhi e gesticolavano e brontolavano nell’eccitazione dell’evento. Un’esecuzione capitale pubblica non avrebbe attratto una massa di gente più fuori di testa. Era il genere di folla che avrebbe fatto abbassare il randello al Pazzo Omicida e scuotere la testa e andarsene via, deluso dalle troppe opportunità.
Nel frattempo, John si trova in cima al razzo, l’Atlas, una bestia tarchiata, il doppio del diametro del Restone. È disteso sulla schiena nella fondina umana della capsula Mercury. Il conto seguita a scorrere lentamente. Le sospensioni si susseguono a causa del tempo. Le nuvole sono così pesanti da rendere impossibile controllare adeguatamente il lancio. Ogni giorno, per cinque giorni, Glenn si era concentrato per il grande evento, solo per ottenere una cancellazione a causa del tempo. Adesso si trovava là sopra da quattro ore, quattro ore e mezzo, cinque ore... stava ficcato dentro la capsula, sdraiato sulla schiena, da cinque ore, e gli ingegneri decidono di cancellare il volo a causa della pesante coperta di nubi.
È spossato. Fa ritorno all’Hangar 5, e cominciano a togliergli la tuta di dosso e a liberarlo dai fili. John siede là nello spogliatoio con soltanto il rivestimento esterno della tuta tirato giù - ha ancora sotto la maglia isolante e tuffi i sensori attaccati allo sterno, alla gabbia toracica e alle braccia — mentre una delegazione della Nasa fa il suo ingresso camminando all’unisono per metterlo di fronte al seguente messaggio proveniente dall’alto:
John, odiamo disturbarti per questo, ma abbiamo un problema con tua moglie.
Mia moglie?
Sì. Non vuole collaborare, John. Forse potresti farle una telefonata. C’è un telefono collegato proprio qui.
Una telefonata?
Del tutto in confusione, John chiama Annie. Lei si trova nella loro casa di Arlington con alcune delle mogli, alcuni amici e Loudon Wainwright, il giornalista di «Life», per assistere al conto alla rovescia e, infine, alla cancellazione in televisione. Fuori c’è la baraonda dei reporter che latrano per avere rimasugli di informazioni sull’ordalia di Annie Glenn e risentiti per il fatto che «Life» abbia l’accesso esclusivo al toccante dramma. Qualche isolato più in là, in una pittoresca via laterale di Arlington, dentro una limousine attende Lyndon Johnson, vicepresidente degli Stati Uniti. Kennedy aveva nominato Johnson suo sovrintendente straordinario al programma spaziale. Era il genere di incarico insignificante che i presidenti affidano ai vicepresidenti, ma aveva un significato simbolico ora che Kennedy presentava il volo spaziale con equipaggio umano come l’autentica avanguardia della sua Nuova Frontiera (versione numero due). Johnson, come molti uomini che avevano ricoperto la carica di vicepresidente prima di lui, aveva cominciato a soffrire la carenza di pubblicità. Stabilisce dunque di entrare nella vita domestica dei Glenn e consolare Annie Clenn per l’ordalia, la tormentosa pressione delle cinque ore di attesa e la frustrante cancellazione. Per rendere quella visita di solidarietà ancor più memorabile, Johnson decide che sarebbe simpatico portarsi dietro la Nbc, la Cbs e l’Abc, sotto forma di un’unica équipe che trasmetterà la scena commovente su tutti e tre i network per milioni di telespettatori. La sola difficoltà — la sola difficoltà per il modo di pensare di Johnson — è che desidera che il reporter di «Life», Wainwright, esca dalla casa, perché la sua presenza provocherebbe l’ostilità degli altri giornalisti della carta stampata impossibilitati a entrare, che non ne ricaverebbero una buona opinione sul vicepresidente.
Ciò di cui non si rende conto è che l’unica ordalia alla quale Annie Glenn è dovuta sottostare riguardava la possibilità che dovesse uscire fuori a un certo punto e impiegare sessanta secondi o roba del genere per balbettare qualche frase. E adesso... diversi funzionari e agenti del servizio segreto chiamano al telefono e bussano alla porta per informarla che il vicepresidente si trova già ad Arlington, in una limousine della Casa Bianca, in attesa di fermare la macchina e lanciarsi in casa per riversarle addosso dieci minuti di orrendo spirito texano davanti a tutta la tv nazionale. Fatta eccezione per il razzo che esplode sotto John, quella è la cosa peggiore che lei possa immaginare che capiti nell’intero programma spaziale americano.
Dapprima Annie tenta di cavarsela con gentilezza, dicendo che non può assolutamente chiedere a «Life» di andarsene, non solo a causa del contratto, ma anche per via dei loro buoni rapporti personali. Wainwright, non essendo uno sciocco, non ci teneva particolarmente a essere coinvolto in tutta quella storia e perciò si offre di mettersi fuori gioco, di andarsene. Ma a quel punto Annie non è disposta a rinunciare allo scudo di «Life». La sua idea se la è fatta. Sta andando in collera. Dice a Wainwright: «Non lasci questa casa!». La rabbia fa mirabilie per la sua balbuzie. La elimina del tutto, temporaneamente. In pratica, gli sta ordinando di restare. La balbuzie di Annie spesso fa sì che la gente la sottovaluti, e gli uomini di Johnson non si erano resi conto che lei era la moglie di un pioniere presbiteriano che viveva piena di energia nel ventesimo secolo. Quando era furibonda, era in grado di tener testa anche a cinque di loro con soltanto l’aiuto di alcuni amplificatori provenienti dalla collera di Dio. Alla fine, quelli capiscono come stanno le cose. Lei è troppo per loro. Perciò provano a tendere le braccia alla Nasa per cercare qualcuno che le ordini di collaborare. Ma ciò deve essere fatto molto rapidamente. Johnson se ne sta là fuori a qualche isolato di distanza nella sua limousine, fumando di rabbia, imprecando e rendendo un inferno la vita a tutti coloro che si trovano a portata di voce, chiedendosi, esplicitamente, perché cazzo non c’è nessuno nel suo staff che sia in grado di affrontare una casalinga, per l’amor di Dio, e il suo staff chiede aiuto alla Nasa, e la Nasa investe del problema un anello superiore della catena, fino a che nel giro di qualche minuto si arriva al vertice, e la delegazione fa il suo ingresso camminando all’unisono nell’Hangar 5 per incontrare personalmente l’astronauta.
Dunque, ecco John, che si sta tirando su la maglia imbottita, con i fili dei biosensori che gli spuntano fuori dalla gabbia toracica... ecco John, ricoperto di sudore, tirato, scarico, che comincia a sentirsi molto stanco dopo aver atteso per cinque ore che un centinaio di tonnellate di ossigeno liquido e cherosene RP-1 gli esplodano sotto al sedere… e la gerarchia della Nasa ha una sola cosa in mente: fare felice Lyndon Johnson. Quindi John fa la sua chiamata a Annie e le dice: «Senti, se non vuoi che il vicepresidente o le reti televisive o chiunque altro entrino in casa, allora, per quanto mi riguarda, così sarà, non entreranno.., e ti appoggerò dall’inizio alla fine, al cento per cento, tu digli questo. Non voglio che Johnson o chiunque altro di loro metta un solo alluce in casa nostra!».
Quello era tutto ciò di cui Annie aveva bisogno, e divenne semplicemente un muro. Non volle neanche più discutere ulteriormente la cosa, e la questione che Johnson entrasse non si poneva più. Johnson, naturalmente, era furibondo. Lo si poteva sentire urlare rabbiosamente e strillare per mezza Arlington, Virginia. Si riferiva ai suoi assistenti. Finocchi! Puttane! Culattoni! Webb a stento riusciva a credere a quello che era successo. L’astronauta e sua moglie avevano sbattuto la porta in faccia al vicepresidente. Webb fece due chiacchiere con Glenn. Questi non volle fare marcia indietro neanche di un centimetro. Fece intendere che Webb aveva passato il limite.
Passato il limite! Di che diavolo si trattava? Webb non riusciva a capire cosa stesse succedendo. Come poteva lo stesso numero uno, l’amministratore della Nasa, avere passato il limite? Webb convocò alcuni dei suoi assistenti di più alto grado e descrisse la situazione. Disse che stava considerando la possibilità di cambiare l’ordine delle assegnazioni ai voli — cioè, di mettere un altro astronauta al posto di Glenn. Quel volo richiedeva un uomo che fosse in grado di comprendere meglio gli interessi più generali del programma. I suoi assistenti lo guardarono come fosse pazzo. Non l’avrebbe mai fatta franca. Gli astronauti non l’avrebbero sostituito!... Avevano le loro divergenze, ma su una questione come quella i sette sarebbero stati uniti come un’armata... Webb cominciava a capire qualcosa che fino a quel momento gli era sempre piuttosto sfuggito. Gli astronauti non erano i suoi uomini. Appartenevano a una categoria nuova per la vita americana. Erano guerrieri da duello. Semmai, era lui il loro uomo.
Si poteva immaginare che cosa sarebbe successo se Webb avesse provato a esercitare la sua autorità nonostante tutto... Arriva la resa dei conti... i sette astronauti Mercury alla televisione... che spiegano che proprio nel momento in cui le loro vite sono messe a repentaglio, lui, Webb, si intromette, cerca di ingraziarsi Lyndon Johnson con le lusinghe, mosso dalla vendetta perché la moglie di John Glenn, Annie, non aveva permesso che l’orrendo strizzamani texano entrasse nel suo salotto a farla reagire emotivamente in modo enfatico sotto l’occhio della televisione a diffusione nazionale... Lui siede nei suoi uffici a Washington mentre le loro pelli stanno appese sulla punta del razzo... Si poteva capire che la faccenda si sarebbe profilata in questo modo. Webb avrebbe smentito, furiosamente... Kennedy avrebbe fatto da arbitro — e non era difficile capire che direzione avrebbe preso la decisione. Il cambio degli incarichi non fu mai più menzionato.
Non molto tempo dopo, un vecchio amico andò a trovare Webb nel suo ufficio principale, e quest’ultimo si sfogò.
«Guarda questo ufficio» disse, facendo un ampio gesto a ricomprendere l’intera stanza che conteneva tutti gli status symbol di livello ministeriale annoverati nel corso di studi della General Services Administration. «E io... non riesco… a ottenere che... un... semplice… ordine… venga eseguito! ».
(La stoffa giusta, Tom Wolfe - Ed. Mondadori)
(Un articolo consigliato:The Historic Flight of Mercury 6 )
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