giovedì 15 ottobre 2009

Mères et filles di Julie Lopes-Curval (2009)


                               
Il principale merito che si deve riconoscere alla giovane e promettente Julie Lopes-Curval, oltre ovviamente quello di aver diretto con sapienza questo gradevolissimo lungometraggio, è senz’ombra di dubbio l’ essere riuscita a conciliare e far coesistere due entità vicine ed affini ma storicamente restìe all’andare a braccetto: il femminismo e la femminilità, attraversando con discrezione e buongusto tre generazioni di donne. L’espediente è semplice e per questo molto efficace: Audrey, (meravigliosa Marina Hands) è una trentenne subissata dal suo lavoro che dal Canada ritorna a casa (le coste aquitane dei rossi rubino) per rendere visita ai suoi genitori e per dedicarsi in un contesto più sereno ad un nuovo importante progetto di lavoro, trascinandosi appresso una valigia di malinconia ed un cofanetto con un piccolo segreto; da subito appare radicato il contrasto con la madre Marine (Catherine Deneuve, che sa sempre scegliere con attenzione i propri ruoli), apparentemente insanabile, sempiterno nei risvolti freudiani del caso, al punto di far decidere alla protagonista di trasferirsi in quella che fu la casa natale della madre, ormai inabitata. E’ qui che Audrey trova nascosto un vecchio quaderno di ricette e confidenze manoscritte dalla nonna, scappata illo tempore abbandonando la famiglia e provocando uno scandalo ancora riecheggiante, un impronunciabile taboo familiare. In questo momento comincia il confronto a tre vite delle donne (“madri e figlie” appunto) durante il quale la nipote si affascina progressivamente alla figura della nonna, una donna troppo moderna per l’epoca in cui ha vissuto, cercando pazientemente di far rivedere a sua madre le severe opinioni edificate artificialmente per reggere al trauma dell’abbandono.

Assolutamente lodevole la maniera in cui la regista confeziona tutto questo: nessuna interruzione della trama con ruvidi flashbacks bensì microscopici incontri quasi surreali tra Audrey e Louise (la nonna, chiamata per nome da tutti, quasi a voler marcare il distacco); usando quindi l’abitazione come passaggio spazio-temporale tra le due realtà storiche così diverse. A tal proposito va sottolineato l’impeccabile lavoro di costumi e decori che con sobrietà fanno andata e ritorno verso la metà del ‘900 nel giro di veramente pochi secondi, accentuando garbatamente il progresso sociale tenacemente raggiunto dalle donne, senza pertanto alcuna velleità ”rivoluzionaria” ma testimoniandone la perseveranza quotidiana. Il film scorre in una certa atmosfera di ipnosi dalla quale ci si risveglia solo nel momento in cui, stupiti, ci si rende conto di aver partecipato ad una meravigliosa inchiesta condotta portando i sentimenti come uniche prove.
Colonna sonora di prestigio, con pescaggi fortunati nel tradizionale, nella classica e pezzi composti ad hoc per il film da Patrick Watson.



Voto: 7
Carlo Ligas

Nessun commento:

Posta un commento